Bagnasco apre i lavori del Consiglio permanente della Cei, ricorda l’impegno sociale della Chiesa che non cerca «auto-esenzioni» e parla del rischio che una «tecnocrazia sopranazionale anonima» espropri la politica degli Stati
«Il capitalismo sfrenato sembra ormai dare il meglio di sé non nel
risolvere i problemi, ma nel crearli, dissolvendo il proprio storico
legame con il lavoro». La Chiesa, che ha messo in atto tutte le sue
forze per fronteggiare le conseguenze della crisi nei poveri e nei nuovi
poveri, «non può e non deve coprire auto-esenzioni improprie»: evadere le tasse «è peccato e per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo». Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella prolusione che ha aperto questo pomeriggio i lavori del Consiglio permanente, che ha messo in guardia dal rischio che una «tecnocrazia sopranazionale anonima» espropri la politica degli Stati.
Bagnasco si è dilungato sulla crisi, affermando che la novità
dell’attuale situazione «è che quanto accade in economia e nella finanza
non si può spiegare se non lo si collega ad altri fenomeni contestuali
come la mondializzazione dei processi, le migrazioni, le mutazioni
demografiche nei Paesi ricchi, l’offuscamento delle identità nazionali,
il nomadismo affettivo e sessuale».
«Il capitalismo sfrenato sembra ormai dare il meglio di sé –
ha detto il presidente della Cei – non nel risolvere i problemi, ma nel
crearli, dissolvendo il proprio storico legame con il lavoro, il lavoro
stabile, e preferendo ad esso il lavoro-campeggio: si va dove
momentaneamente l’industria sta meglio come se l’“altro” non esistesse. E
per “l’altro” è in primo luogo da intendersi proprio il lavoratore».
«La “fluidità” di valori, relazioni e riferimenti, non impedisce
affatto – semmai favorisce – il formarsi di coaguli sovrannazionali
talmente potenti e senza scrupoli, tali da rendere la politica sempre più debole e sottomessa.
Mentre invece dovrebbe essere decisiva, se la speculazione non avesse
deciso di tagliarla fuori e renderla irrilevante, e quasi inutile. Ed è
quel che sembra accadere sotto gli occhi attoniti della gente».
«Quando il criterio è il guadagno più alto e facile possibile e
nel tempo più breve possibile – ha detto Bagnasco – allora il profitto
non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso giocando sulla vita degli
uomini e dei popoli». Il cardinale ha poi insistito, al di là «di ogni
ventata antipolitica», sull’assoluta importanza, anzi necessità,
della politica, che «deve mettersi in grado di regolare la finanza
perché sia a servizio del bene generale e non della speculazione. Non è
possibile vivere fluttuando ogni giorno nella stretta di mani invisibili
e ferree, voluttuose di spadroneggiare sul mondo. Sembra, invece, che i
grandi della terra non riescano ad imbrigliare il fenomeno
speculativo».
Bagnasco presenta il dubbio «che si voglia proprio dimostrare ormai l’incompetenza dell’autorità politica rispetto ai processi economici, come se una tecnocrazia transnazionale anonima
dovesse prevalere sulle forme della democrazia fino a qui conosciuta, e
dove la sovranità dei cittadini è ormai usurpata dall’imperiosità del
mercato». Ma la politica, riconosce il cardinale, ha le sue responsabilità:
non è stata infatti capace di arrivare a «riforme effettive», spesso
«solo annunciate» e dunque c’è stata incapacità di pervenire «in modo
sollecito a decisioni difficili allorché queste si impongono. Quasi
fosse normale, per un paese come l’Italia, non essere in grado di
assumere una comunicazione franca con i propri cittadini. E dovesse
essere fisiologico puntare su una compagine governativa esterna, perché
provi a sbrogliare la matassa nel frattempo diventata troppo
ingarbugliata».
Bagnasco ha quindi definito il governo un «esecutivo di buona volontà, autonomo non dalla politica ma dalle complicazioni ed esasperazioni di essa,
e con l’impegno primario e caratterizzante di affrontare i nodi più
allarmanti di una delicata, complessa contingenza». Ma è «irrinunciabile
che i partiti si impegnino per fare in concomitanza la propria parte»,
per le riforme «rinviate per troppo tempo tanto da trovarsi ora in una
condizione di emergenza». I partiti «non devono fare gli spettatori, ma
devono attivarsi con l’obiettivo anche di riscattarsi, preoccupati
veramente solo del bene comune, quasi nell’intento di rifondarsi su
pensieri lunghi e alti».
Oggi, ha detto il presidente della Cei, «c’è da salvare l’Italia e
c’è da far sì – cosa non scontata – che i sacrifici che si vanno
compiendo non abbiano a rivelarsi inutili. Per questo urge superare
il risentimento che qua e là affiora». Il cardinale ha invitato a non
ritenere «fisiologica la condizione di giovani ultratrentenni che vivono
a carico dei genitori o dei nonni». La Chiesa vuole fare la sua parte e
«non ha esitazione ad accennare questo discorso, perché non può e non
deve coprire auto-esenzioni improprie. Evadere le tasse è peccato. Per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo».
Il cardinale ha ricordato «l’assidua, capillare presenza responsabile» della Chiesa nel sociale,
attraverso «quattrocentoventimila operatori attivi in oltre
quattordicimila servizi sociali e sanitari di ispirazione cristiana
operanti con continuità e stabilità organizzativa sul territorio del
Paese». «Non chiediamo privilegi – ha aggiunto Bagnasco – né che si
chiuda un occhio su storture o manchevolezze. Sappiamo che il bene va
fatto bene, senza ostentazioni o secondi fini, senza cercare alibi,
auto-remunerazioni o auto-esenzioni, nell’umile esemplarità della
propria esistenza e con la trasparenza delle opere». Il cardinale ha
ripetuto che sull’Ici la Chiesa in Italia «non chiede trattamenti
particolari, ma semplicemente di aver applicate a sé, per gli immobili
utilizzati per servizi, le norme che regolano il no profit. I Comuni
vigilino, e noi per la nostra parte lo faremo». Ma ha auspicato anche
che finiscano le polemiche che fanno sorgere «sospetti inutili» e, «in
ultima istanza, infirmare il diritto dei poveri di potersi fidare di chi
li aiuta».
Bagnasco ha accennato anche al percorso iniziato dai cattolici in politica:
«Il nostro laicato vuole esserci, consapevole di essere portatore di un
pensiero forte e originale, cioè non conformista. Consapevole di un
dovere preciso che scaturisce anche dalla propria fede e da una storia
lunga e feconda nota a tutti». E ha rilanciato quella che chiama «una
felice “provocazione” del Papa»: «Ci si è adoperati perché la presenza
dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse
incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità
della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte».
Nella parte iniziale della prolusione, il cardinale aveva parlato dell’Anno della Fede,
notando l’esistenza «qua e là» di «una strana reticenza a dire Gesù,
una sorta di stanchezza, uno scetticismo talora contagioso. Al
contrario, ed è il Papa stesso a ricordarcelo, c’è l’entusiasmo
riscontrabile nei giovani e nei giovani Continenti, a partire
dall’Africa che egli ha visitato di recente e dove si è colta
un’impressionante vitalità e una larga passione per il Vangelo».
http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/cei-11943/
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