domenica 9 settembre 2012

Il merito di SuperMario: Eurotower meno prussiana, di Marlowe


L'ANALISI

Draghi ha fatto bene il proprio lavoro. E ora la Bce è un po' meno prussiana.

Abbiamo osservato Mario Draghi nelle sue tre ultime conferenze pubbliche: quella del 27 luglio a Londra, quando disse: «All'interno del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto ciò che serve per salvare l'euro. E credetemi, sarà abbastanza». Un piglio decisionista, retaggio forse dell'imprinting anglosassone (anzi, americano) dell'ex top manager della Goldman Sachs, che fece sperare a molti che l'Eurotower avrebbe finalmente impugnato il famoso bazooka per riportare gli spread a livelli logici e per domare la resistenza della Germania. La seconda occasione è stata il 2 agosto, subito dopo il direttivo Bce. Un Draghi nettamente ridimensionato, con le occhiaie scavate e una punta del colletto che sbucava dalla giacca, lui che tiene all'eleganza da business community planetaria, cravatte Hermes incluse. Allora si lasciò sfuggire una frase che nessun banchiere centrale dovrebbe mai pronunciare, perché è un invito a nozze per la speculazione: «Sono stato frainteso». Ieri Draghi era in ottima forma. Sciolto e sorridente quanto basta, con un pizzico di humour con i giornalisti ("Tu sai già tutto prima, quindi non chiedermi nulla" ha scherzato con l'inviato di Bloomberg), non reticente quando nel prendere il toro per le corna: quello dei rapporti con i falchi tedeschi. Per tutto agosto Jens Weidmann, il capo della Bundesbank tanto mite e cortese nei modi quanto il suo predecessore Axel Weber era umorale, ma non per questo meno insidioso e duro nella sostanza, ha cercato di scavare la terra sotto i piedi del suo superiore alla Bce. Ha minacciato le dimissioni, ha fatto trapelare ai giornali piani inesatti sulle intenzioni della banca centrale europea, che ovviamente sarebbero costati cifre inimmaginabili al "contribuente tedesco", questa figura centrale dell'Europa di oggi della quale Weidmann è stato nominato paladino sia dal tabloid Bild sia dal sofisticato Spiegel. Per descrivere la differenza tra l'italiano Draghi e il tedesco Weidmann, si sono scomodate la religione e l'antropologia. Il numero uno della Buba è un luterano nato a Solingen, nel Nord Reno-Vestfalia, il land che è il cuore della Germania stessa così come lo fu della Prussia. Draghi è un cattolico romano, e quindi agli occhi dei circoli tedeschi un tipo del quale diffidare. Magari dedito al traffico delle indulgenze. Si è rispolverata la storia del significato del termine Shuld, che in tedesco indica il debito ma anche la colpa; mentre notoriamente il Padre Nostro recita «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Ossia, perdona le nostre colpe come noi perdoniamo quelle degli altri. Infine Draghi è un banchiere che si è diviso tra pubblico e privato, già servitore dello Stato (e degli stati) e appunto della Goldman Sachs; al contrario di Weidmann, che è un ortodosso economista monetario, anche se alla Bundesbank è arrivato paracadutato dalla politica, visto che era assistente di Angela Merkel. Alla fine, ieri, ha vinto Draghi, e il suo programma Omt (Outright Monetary Transactions: se c'è una cosa che non difetta alle istituzioni europee sono le sigle) potrebbe davvero non solo calmare lo spread facendoci risparmiare una barca di soldi, ma anche stabilizzare l'euro e consentire ai politici, se si degneranno di farlo, di dedicarsi all'economia reale, al lavoro, alle infrastrutture e ai giovani, salvando l'Europa dal proprio declino. L'Omt, cioè l'acquisto illimitato di titoli fino a 3 anni sui mercati secondari e primari, è il confine massimo al quale un presidente della Bce si sia mai spinto, e anche il massimo della distanza dall'ortodossia germanica sotto la cui impronta l'Eurotower era nata. Pochi minuti dopo che Draghi ha concluso il suo statement, Angela Merkel ha convenuto che il banchiere italiano «ha agito nei termini del suo mandato», e che ora spetta ai politici rimettere in piedi la baracca europea. Monti ha ricambiato a stretto giro lamentando che nel Parlamento italiano ci sia troppa diffidenza verso i tedeschi, «soprattutto nei partiti gemellati con la Cdu». Una stilettata inutile all'area berlusconiana; eppure il rigorismo teutonico è contestato dall'intera sinistra europea (compresa quella tedesca), e in special mondo dal socialista francese Francois Holland, nuovo modello per il nostro Pd; nonché da Barack Obama, il nume di Walter Veltroni. Fortuna che su queste cineserie il nostro Draghi ha mostrato di saper volare alto: magari anche avendo imparato a prendere le misure ad alleati e avversari. E certamente il fatto che due giorni fa il Tesoro tedesco sia andato corto nel piazzare i mitici Bund (su 5 miliardi, uno e mezzo è stato rifiutato dal mercato), costringendo la Buba a farsi carico dell'inoptato, esattamente la pratica che Weidmann rimprovera proprio all'Italia e alla Bce in versione latina, ha dato una notevole mano al capo dell'Eurotower. Il quale ha ricordato che in ogni istituzione che funziona le decisioni si prendono a maggioranza, ha definito «una caricatura» l'immagine propagandata dai media germanici di un euro «lirizzato», ha ammesso sobriamente che esiste un problema di rapporti con l'establishment tedesco, dichiarandosi fiducioso che «nei prossimi sette anni di mandato ci sia modo e tempo per ristabilire la fiducia». Per farsi capire meglio, ha anche aggiunto che la distorsione dello spread non è solo per i livelli esagerati di Spagna e Italia, ma anche per quelli troppo bassi del Nord Europa, come l'asta dei Bund ha appena dimostrato. Può darsi che il capo della Bce si sia voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa, dopo l'agosto infernale cui era stato sottoposto dai colleghi tedeschi. O forse più semplicemente ha fatto il proprio lavoro, di chi ha la responsabilità della moneta e dei risparmi dell'area più ricca e problematica del mondo: ed è bizzarro che mentre Mario Draghi portava a casa il risultato - che non è per l'Italia, ma per l'Europa - e lo faceva con la naturalezza del potere esercitato al meglio, i politici di qua e di là delle Alpi iniziassero con i loro distinguo. La palla ora passa a loro: si tratta di non fare promesse miracolistiche, ideologiche, soprattutto campate in aria. Un duro sacrificio per partiti che vengono da una vacanza di un anno. Chissà che Draghi, che ieri si è rivelato anche un eccellente politico (teniamocelo stretto) non abbia capito anche questo.

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