sabato 15 settembre 2012

L'eccezionalismo europeo, di Jean-Claude Trichet


La creazione di un'unione economica e monetaria dell’Europa è un caso unico nella storia degli Stati sovrani. L’Eurozona, infatti, rappresenta un tipo di società di Stati completamente nuovo, che trascende il tradizionale concetto westfaliano di sovranità.
Come gli individui di una società, i paesi dell’Eurozona sono indipendenti e interdipendenti, e possono incidere gli uni sugli altri in modo sia positivo che negativo. Una buona governance implica che gli Stati membri e le istituzioni UE adempiano alle proprie responsabilità. Unione economica e monetaria significa, innanzitutto, proprio questo: due unioni, una sul piano monetario, l’altra su quello economico.
L’unione monetaria dell’Europa si è rivelata estremamente efficace. Sin dall'entrata in vigore dell'euro nel 1999, la stabilità dei prezzi è stata garantita per 17 Paesi e 332 milioni di persone, con un tasso d'inflazione medio annuo del 2,03% soltanto, migliore persino di quello della Germania tra il 1955 e il 1999. Inoltre, dal 1999 l'Eurozona ha creato 14,5 milioni di nuovi posti di lavoro, rispetto agli 8,5-9 milioni degli Stati Uniti. Questo non significa che l'Europa non abbia un grave problema di disoccupazione, ma solo che non c'è un'evidente inferiorità: tutte le economie avanzate devono promuovere la creazione di lavoro.
Allo stesso modo, e su base consolidata, le partite correnti dell'Eurozona sono in equilibrio, il rapporto tra debito e Pil è molto al di sotto di quello del Giappone, e anche il deficit finanziario pubblico è inferiore, e non di poco, a quello di USA, Giappone e Regno Unito.
Pertanto, l'euro da solo non spiega perché l'Eurozona sia diventata il grande malato dell'economia globale. Per comprendere il vero motivo, occorre riflettere sulla debolezza dell'unione economica dell'Europa.
Tanto per cominciare, il Patto di stabilità e di crescita, teso a garantire politiche fiscali efficaci all'interno della zona euro, non è mai stato attuato in modo corretto. Al contrario, nel 2003 e 2004 la Francia, l'Italia e la Germania tentarono d'indebolirlo. La Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e i paesi di piccole e medie dimensioni dell'Eurozona riuscirono a impedire che il patto fosse smantellato, ma lo spirito con cui era nato ne uscì gravemente compromesso.
In aggiunta, la governance dell'Eurozona non includeva il monitoraggio e la sorveglianza degli indicatori di competitività, vale a dire andamento dei prezzi nominali e dei costi negli Stati membri, e squilibri esterni dei paesi nell'ambito della zona euro. (Nel 2005, molto prima che scoppiasse la crisi, sollecitai per conto del consiglio dei governatori della BCE un'adeguata sorveglianza di un certo numero di indicatori nazionali, compresi i costi unitari del lavoro).
Una terza fonte di debolezza è che, con l'entrata in vigore dell'euro, non furono previsti strumenti per la gestione delle crisi. Per una buona parte del mondo all'epoca un atteggiamento di "benign neglect" era la norma, soprattutto tra le economie avanzate.
Infine, l'alta correlazione tra la capacità di credito delle banche commerciali di un dato Paese e quella del suo governo crea un'ulteriore causa di vulnerabilità, che nell'Eurozona è particolarmente dannosa.
Per fortuna sono stati fatti molti passi in avanti, tra cui importanti riforme del PSC, l'introduzione della sorveglianza degli indicatori di competitività e degli squilibri territoriali e la messa a punto di nuovi strumenti per la gestione delle crisi. Inoltre, c'è ampio consenso sul fatto che la stabilità e la prosperità dell'Unione richiedono il completamento del mercato unico e l'obbligo di varare riforme strutturali per tutti i 27 Stati membri. Un'unione bancaria, ancora in fase di proposta, aiuterebbe a separare la capacità di credito delle banche commerciali da quella del loro governo.
Ma nulla di tutto ciò è abbastanza. Anziché sanzionare i Paesi che trasgrediscono le regole e ignorano le raccomandazioni, compito che doveva essere svolto dal PSC, la Commissione Europea, il Consiglio Europeo e, soprattutto, il Parlamento Europeo dovrebbero decidere direttamente in merito alle misure da attuare con urgenza nel Paese interessato. Le politiche fiscali e certe altre politiche economiche andrebbero sottoposte all'attivazione di una "federazione in via d'eccezione" della zona euro.
L'idea che condividere una valuta unica implichi anche accettare delle restrizioni alla sovranità fiscale non è nuova. Una "federazione in via d'eccezione" semplicemente trae le conseguenze logiche dall'inefficacia delle multe previste dal PSC, ed è pienamente in linea con il concetto di sussidiarietà, che è stato applicato sin dall'introduzione del patto stesso: niente multe a patto che la politica economica nazionale adempia a quanto previsto dal quadro di riferimento.
Forse l'elemento più importante della "federazione in via d'eccezione" sarebbe la sua forte ancora democratica. La sua attivazione dipenderebbe da un processo decisionale completamente democratico, con una chiara responsabilità politica. Più precisamente, le decisioni in merito all'attuazione di misure proposte dalla Commissione e già approvate dal Consiglio richiederebbero un voto di maggioranza del Parlamento Europeo, cioè di quei rappresentanti eletti dai membri della zona euro dell'Unione Europea.
In circostanze così eccezionali, il parlamento del Paese interessato dovrebbe avere l'opportunità di spiegare al Parlamento Europeo perché non è stato in grado di implementare le raccomandazioni fornite, mentre il Parlamento Europeo potrebbe spiegare come mai la stabilità e la prosperità dell'Eurozona sono a rischio. Ma l'ultima parola spetterebbe comunque al Parlamento Europeo.
In passato ho suggerito di creare un ministero delle finanze per l'Eurozona, che avrebbe la responsabilità di attivare una federazione economica e fiscale laddove e quando fosse necessario, e di gestire i nuovi strumenti per la gestione delle crisi, come il Meccanismo Europeo di Stabilità. Tale organismo sarebbe, inoltre, responsabile di supervisionare l'unione bancaria e di rappresentare l'Eurozona presso tutte le istituzioni finanziarie internazionali e i gruppi informali.
Ma la cosa più importante è che questa "federazione in via d'eccezione" finirebbe per non essere più un'eccezione. Il ministro delle finanze sarebbe uno dei membri del futuro ramo esecutivo dell'UE, insieme ai ministri degli altri dipartimenti federali.
In quest'ottica, la Commissione presagisce un futuro governo democratico europeo, come è stato suggerito dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, che ha proposto di creare la carica di presidente eletto. Intanto il Consiglio sembra anticipare la futura camera alta del Parlamento Europeo, con la camera bassa che già viene eletta da tutti i cittadini UE.
Mi rendo perfettamente conto che la mia è una proposta audace, ma gli europei devono trarre insegnamento dal recente passato. Dobbiamo fare chiarezza su quello che va fatto per giungere a una governance che sia democratica ed efficace in funzione delle circostanze.

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