Riemerge con un paragrafetto malizioso e inedito un vecchio testo di Carlo Galli Il politologo spiega che il pensiero dominante è fatto di tabù, e c’è chi non ci sta
Una nuova famiglia di pensatori politici si è formata negli ultimi anni: i neo-reazionari. Per comprenderne fini e strategie si deve riconoscere che la politica, dalla seconda metà del Novecento, è caratterizzata, in occidente, dal conflitto fra liberaldemocrazia e socialdemocrazia, cioè fra una destra e una sinistra che sono in realtà riformismi di specie diversa ma del medesimo genere. Rivali, certo, ma uniti nel riferirsi a due varianti – liberale e liberal – della medesima corrente razionalistica e illuministica, e nel riconoscere che la politica non può che collocarsi nell’orizzonte dei diritti, e oscillare fra la valorizzazione della libertà individuale da una parte e della giustizia sociale dall’altra. Il neo contrattualismo di Rawls, il neo libertarismo di Nozick, la teoria dei diritti di Dworkin, l’agire comunicativo di Habermas, e persino il neo liberalismo di Hayek, sono i punti forti, in politica, dello stile filosofico moderno.
La riflessione sulla politica – per quanto differenziata in scuole rivali – ha insomma davvero elaborato il politicamente corretto, e anche il tabù, l’impensato e l’impensabile: è la logica stessa delle culture politiche dominanti, liberali o democratiche, a determinarli.
E quindi esiste anche la possibilità, o il bisogno – critico, liberatorio, espressivo –, di sottrarre la riflessione filosofico-politica all’ipoteca liberale e liberal, innescando effetti di scandalo e di piazzamento. Con altri linguaggi nascono altre questioni, e si articola un progetto di guardare la politica con altri occhi, di uscire dalla tradizione moderna e di sottrarsi all’egemonia dei suoi epigoni.
Questa trasgressione – alimentata anche dalle nuove configurazioni del mondo, dopo il 1989 e dopo l’11 settembre 2001 – può essere definita neo reazionaria non tanto perché sia di destra nel senso classico del termine, ma perché reagisce al senso comune filosofico cercando la provocazione, elaborando argomenti non allineati e interpretando i nostri tempi in modo alternativo. E il principale punto di vista eterodosso che si viene imponendo alla filosofia non è più quello del marxismo ma quello identitario, simbolico-culturale.
E quindi esiste anche la possibilità, o il bisogno – critico, liberatorio, espressivo –, di sottrarre la riflessione filosofico-politica all’ipoteca liberale e liberal, innescando effetti di scandalo e di piazzamento. Con altri linguaggi nascono altre questioni, e si articola un progetto di guardare la politica con altri occhi, di uscire dalla tradizione moderna e di sottrarsi all’egemonia dei suoi epigoni.
Questa trasgressione – alimentata anche dalle nuove configurazioni del mondo, dopo il 1989 e dopo l’11 settembre 2001 – può essere definita neo reazionaria non tanto perché sia di destra nel senso classico del termine, ma perché reagisce al senso comune filosofico cercando la provocazione, elaborando argomenti non allineati e interpretando i nostri tempi in modo alternativo. E il principale punto di vista eterodosso che si viene imponendo alla filosofia non è più quello del marxismo ma quello identitario, simbolico-culturale.
Parecchi intellettuali stanno infatti ragionando, in modi molto diversi tra loro, nella convinzione che ciò che il pensiero deve valorizzare sono le condizioni ideali e simboliche, culturali e religiose, che danno senso, radicamento e prospettive esistenziali ai singoli e alle comunità. La politica non è faccenda di calcoli razionali, e neppure di diritti astrattamente affermati, ma di concrete identità individuali e collettive: queste identità si costituiscono attraverso la durezza delle costruzioni della realtà, ma anche grazie alla tradizione storica, o in virtù dell’apertura della politica alla metafisica, alla trascendenza, o alla potenza ultima del sacro; nella convinzione che la prassi consiste soprattutto in esperienze vitali, o in conflitti fra valori. La stessa ragione moderna, con i valori liberali e democratici che le sono connessi, non è universale, ma è un prodotto storico particolare dell’occidente; il suo nucleo è costituito da decisioni morali, prima che da ragionamenti, da calcolo di interessi o da affermazioni di diritti.
Tutto ciò non è solo accademia, ma implica forti differenze di approccio alla realtà. Se brucia la banlieue parigina, un liberale o un liberal diranno che la colpa è della disperata povertà in cui versano i giovani di periferia, salvo divergere sulle terapie per ovviare al problema; un conservatore vecchio stile ridurrà la faccenda a una questione di ordine pubblico; un repubblicano dirà che è fallito il progetto pedagogico di assimilazione laica dello stato francese, e cercherà di capire quali riforme siano opportune; un neo reazionario, invece, spiazzerà – come ha fatto Finkielkraut – il suo pubblico, sostenendo che la causa del conflitto è nell’identità islamica dei rivoltosi, declinata in modo da essere incompatibile con il sistema di valori del paese occidentale in cui vivono (con tanti saluti alle ben educate teorie del multiculturalismo).
La mappa di coloro che privilegiano il livello simbolico, identitario, culturale della politica, e praticano quindi una filosofia drammatica, conflittuale, agonale, è complessa. Negli Stati Uniti grande influenza ha avuto il pensiero di un critico della modernità e del suo razionalismo come Leo Strauss, uno dei capiscuola del gruppo intellettuale neocon, impegnati in una difesa militante dell’occidente, e nello sforzo di trasformare la politica estera americana in una crociata a favore della democrazia.
Ma l’attenzione al livello simbolico-identitario non genera soltanto posizioni neo reazionarie: ha infatti nutrito anche una grande stagione del pensiero femminista, e la sua riscoperta politica del corpo sessuato; e produce in Francia (culla della critica decostruzionistica alla ragione moderna, da Foucault a Derrida) sia le posizioni filo occidentali di un vecchio nouveau philosophe come Glucksmann, sia le aspre critiche agli Stati Uniti di un esponente della nuova destra come De Benoist, sia la reazione all’ecologismo di un Luc Ferry. Allo stesso modo, in Italia, sulla scia americana, abbiamo avuto tanto ‘atei devoti’ come Ferrara, Pera, la Fallaci – laici che riconoscono che la ragione moderna è fondata su valori strettamente imparentati con il cristianesimo, e che cercano nella chiesa cattolica un rafforzamento dell’identità occidentale – quanto filosofi critici come Cacciari o Agamben, che si situano al di là della destra e della sinistra in senso tradizionale (non a caso nel nostro paese fin dagli anni Settanta) si è letto Schmitt da sinistra, in chiave post gramsciana). E nell’ambito culturale centro-europeo, momenti di critica del razionalismo, nella versione habermasiana, in nome del simbolico, vengono da autori radicali come Zizek e Sloterdijk. Mentre l’Inghilterra contribuisce alla critica della cultura liberal con un più tradizionale conservatore come Scruton.
I neo reazionari sono quindi una delle pattuglie, vivace ma non monolitica, di un esercito composito che si affaccia, nel tempo nuovo dell’età globale, in uno spazio intellettuale altrettanto nuovo. Sarà anche la sinistra capace di analogo rinnovamento?
Ma l’attenzione al livello simbolico-identitario non genera soltanto posizioni neo reazionarie: ha infatti nutrito anche una grande stagione del pensiero femminista, e la sua riscoperta politica del corpo sessuato; e produce in Francia (culla della critica decostruzionistica alla ragione moderna, da Foucault a Derrida) sia le posizioni filo occidentali di un vecchio nouveau philosophe come Glucksmann, sia le aspre critiche agli Stati Uniti di un esponente della nuova destra come De Benoist, sia la reazione all’ecologismo di un Luc Ferry. Allo stesso modo, in Italia, sulla scia americana, abbiamo avuto tanto ‘atei devoti’ come Ferrara, Pera, la Fallaci – laici che riconoscono che la ragione moderna è fondata su valori strettamente imparentati con il cristianesimo, e che cercano nella chiesa cattolica un rafforzamento dell’identità occidentale – quanto filosofi critici come Cacciari o Agamben, che si situano al di là della destra e della sinistra in senso tradizionale (non a caso nel nostro paese fin dagli anni Settanta) si è letto Schmitt da sinistra, in chiave post gramsciana). E nell’ambito culturale centro-europeo, momenti di critica del razionalismo, nella versione habermasiana, in nome del simbolico, vengono da autori radicali come Zizek e Sloterdijk. Mentre l’Inghilterra contribuisce alla critica della cultura liberal con un più tradizionale conservatore come Scruton.
I neo reazionari sono quindi una delle pattuglie, vivace ma non monolitica, di un esercito composito che si affaccia, nel tempo nuovo dell’età globale, in uno spazio intellettuale altrettanto nuovo. Sarà anche la sinistra capace di analogo rinnovamento?
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