La mossa di Mario
Draghi ha fatto bene a sfidare la Bundesbank, anche se la partita è appena cominciata

D’altra parte, che i nodi stessero velocemente venendo al pettine lo testimonia il mezzo fallimento dell’asta tedesca di mercoledì 5 settembre: gli investitori internazionali, e in particolare i fondi pensione, non sono più disposti a comprare bund che non rendono nulla, anzi che non coprono neppure l’inflazione, e questo fenomeno sarà comunque, al di là della mossa di Draghi, elemento decisivo per “girare le carte” in sede europea. Perché la mossa della Bce, creando i presupposti per tagliare le punte degli spread, interviene sull’altra contraddizione della crisi, quella di politiche di rigore finanziario, che si sono tradotte in austerità recessiva, in cambio non di tassi di finanziamento più bassi ma ben maggiori dei concorrenti. Ora l’azione calmieratrice della Bce renderà meno suicide quelle politiche, ma non metterà certo nelle condizioni i capitali internazionali di essere meglio remunerati.
Insomma, c’è da essere grati, molto grati, a Draghi, che ha sfidato una potenza come la Bundesbank su un terreno che – anche comprensibilmente – non le è proprio. Ma nello stesso tempo dobbiamo sapere che la partita è appena cominciata e il risultato finale di là da venire. E capire che, così stando le cose, l’ostacolo più grande da rimuovere per rimuovere le cause strutturali dell’incompiutezza dell’euro non è rappresentato (solo) dai tedeschi, ma (anche e soprattutto) dai francesi. Parigi, con Hollande come con Sarkozy, non intende cedere un grammo della sua sovranità, mentre Berlino è disposta, seppure a condizione che l’Europa federale sia germanocentrica. Per questo, sono necessarie due mosse. La prima: innervare la decisione di ieri della Bce con un’unione bancaria vera, in cui i principali attori non siano più nazionali ma europei soggetti a vigilanza centrale. La seconda: cominciare a percorrere la strada federale firmando un accordo politico – credibile, solenne e “vendibile” alle opinioni pubbliche – che sancisca l’irreversibilità dell’unificazione monetaria e definisca scelte a 3-5 anni di equilibrio tra rigore e sviluppo. La prima la si lasci fare a Draghi, la seconda la si costruisca prima che le elezioni italiane e tedesche la rendano impraticabile.
Insomma, c’è da essere grati, molto grati, a Draghi, che ha sfidato una potenza come la Bundesbank su un terreno che – anche comprensibilmente – non le è proprio. Ma nello stesso tempo dobbiamo sapere che la partita è appena cominciata e il risultato finale di là da venire. E capire che, così stando le cose, l’ostacolo più grande da rimuovere per rimuovere le cause strutturali dell’incompiutezza dell’euro non è rappresentato (solo) dai tedeschi, ma (anche e soprattutto) dai francesi. Parigi, con Hollande come con Sarkozy, non intende cedere un grammo della sua sovranità, mentre Berlino è disposta, seppure a condizione che l’Europa federale sia germanocentrica. Per questo, sono necessarie due mosse. La prima: innervare la decisione di ieri della Bce con un’unione bancaria vera, in cui i principali attori non siano più nazionali ma europei soggetti a vigilanza centrale. La seconda: cominciare a percorrere la strada federale firmando un accordo politico – credibile, solenne e “vendibile” alle opinioni pubbliche – che sancisca l’irreversibilità dell’unificazione monetaria e definisca scelte a 3-5 anni di equilibrio tra rigore e sviluppo. La prima la si lasci fare a Draghi, la seconda la si costruisca prima che le elezioni italiane e tedesche la rendano impraticabile.
Nessun commento:
Posta un commento