sabato 15 settembre 2012

L’aiuto di Draghi e il piano inclinato della perdita di sovranità, di Domenico Lombardi


Quella della Bce è una svolta, ma non aver potuto imitare in tutto e per tutto la Fed ha le sue conseguenze

L’incontro di oggi a Francoforte tra il primo ministro greco, Antonis Samaras, e il presidente della Banca centrale europea,Mario Draghi, testimonia il ruolo sempre più centrale dell’Eurotower. Dopo l’incontro di ieri con i rappresentanti della Troika – durante il quale i rappresentanti di Ue, Bce e Fondo monetario internazionale avrebbero espresso dubbi su alcune misure, del valore di 2,2 miliardi di euro, relative al settore pubblico, della sanità e della difesa, contenute nel pacchetto approntato dal governo di Atene – facendo leva sull’importante decisione della scorsa settimana, con la quale l’Eurotower ha rinunciato alla condizione di creditore privilegiato nell’ambito delle operazioni Omt (Outright Monetary Transactions), Samaras chiederà a Draghi una rinuncia simmetrica a valere anche sui titoli greci che la Bce ha in portafoglio. Proprio un atteggiamento più conciliante della Bce nei confronti di Atene spianerebbe la strada a una nuova ristrutturazione del debito greco. Tale ristrutturazione rappresenta una delle condizioni necessarie per il rilancio dell’economia e, nell’immediato, favorirebbe un nuovo pieno coinvolgimento del Fmi nella partita ellenica. Se il vertice di oggi non sarà risolutivo sulla questione, a qualche giorno dalla decisione di Draghi di introdurre l’Omt, è invece possibile un’analisi più accurata delle implicazioni di una richiesta di assistenza da parte italiana.
La piattaforma tecnico-istituzionale che è stata approntata da Francoforte è del tutto inedita, ma la sua apparente complessità rischia di celare alcuni aspetti problematici che pure presenta. Procediamo con ordine. L’acquisto di soli titoli a breve rischia di creare qualche problema alla gestione del nostro debito pubblico. Infatti una delle ragioni per cui l’Italia è stata in grado di resistere a pressioni speculative senza precedenti nella storia recente sta proprio nella durata media del nostro debito che si aggira sui 7 anni. E’ evidente che un programma Omt sull’Italia, presubilmente protratto nel tempo, tenderà a far ridurre la scadenza media del debito poiché le nuove emissioni si concentreranno sui titoli acquistabili dalla Bce che quoteranno rendimenti inferiori. Per converso, per quelli a più lunga scadenza, il Tesoro dovrà pagare un premio che ne renderà più costosa l’emissione.
La scelta della Bce, inoltre, è andata in direzione opposta a quella della Federal Reserve americana che, anzi, ha addirittura privilegiato l’acquisto di titoli a lunga scadenza con la recente operazione “twist”. In realtà, per un paese ad alto debito, includere negli acquisti anche titoli a lungo termine non altererebbe l’incentivo a mantenere gli impegni. Se l’Italia rinnegasse tali impegni e la Bce terminasse i suoi acquisti, gli spread salirebbero istantaneamente portando i rendimenti dei titoli a livelli considerevolmente più elevati. Data la mole di debito da rifinanziare, l’incentivo a “rigar dritto” risulterebbe comunque significativo. Per converso nella versione attuale, poiché il programma di assistenza, se attivato, non sarà di breve durata, la scadenza media del debito verrà compressa, creando paradossalmente una condizione di maggiore vulnerabilità nel caso di futuri attacchi speculativi. Ciò rischia di rendere l’Italia sempre più dipendente da forme di assistenza sovranazionale e da quei paesi, leggi Germania, che tali istituzioni influenzano pesantemente.
Per quanto riguarda il ruolo del Fondo salva stati (oggi è Efsf, domani sarà sostituito dall’Esm) in questo schema di intervento, esso potrebbe acquistare, sulla base delle sue attuali linee guida, sino alla metà delle emissioni di titoli sul mercato primario. Nel caso dell’Italia, tuttavia, tale limite è teorico. Il Fondo infatti dispone, al netto degli impegni già in essere, di 150 miliardi di euro che coprirebbero a malapena la metà delle emissioni primarie nette che il Tesoro, mediamente, effettua in un anno. Questo, solo nell’ipotesi inverosimile che nessun altro paese dell’Eurozona richieda il suo intervento. Il ruolo del Fondo salva stati è, piuttosto, quello di introdurre l’obbligo per il paese beneficiario di impegnarsi a un programma di condizioni ben definite. Attraverso questo escamotage, la Bce evita il serio imbarazzo di imporre una piattaforma formale di condizionalità ai suoi paesi membri. Eppure, l’Efsf/Esm non ha delle competenze autonome nel disegno di programmi di stabilizzazione. Proprio per questo, la piattaforma dell’Omt prevede l’intervento del Fmi che offrirebbe la propria opera nel disegnare le condizioni del programma e verificarne l’applicazione da parte del paese beneficiario.

La supplenza futura del Fmi
La domanda è che tipo di condizionalità verrà introdotta dal Fmi. Sulla scorta dei programmi già in essere nell’Eurozona, è probabile che copra le politiche strutturali e di competitività. Nel caso dell’Italia, infatti, è difficile immaginare una condizionalità fiscale che vada oltre gli impegni presi dal governo Monti e dalle forze politiche che lo appoggiano in Parlamento. Inoltre, la politica fiscale è già blindata dal Fiscal compact e dal quadro regolamentare europeo. In realtà, la presenza del Fmi aiuterebbe in maniera duplice. Da un lato, consentirebbe di alleviare il problema delle scarse risorse finanziarie del Fondo salva stati una volta che queste si esaurissero, offrendo una modalità meno umiliante e stigmatizzante per ricorrere a un finanziamento del Fmi nell’ambito di un programma formalmente tripartitico e a maggioranza europea. Dall’altro offrirebbe una exit strategy alla Bce, per cui, terminati in modo consensuale i suoi interventi, il paese in parola passerebbe una fase di convalescenza monitorato dal Fmi, per esempio, attraverso un programma di tipo precauzionale, con l’impegno ex ante a non effettuare alcun tiraggio.
Vi è, infine, un ultimo aspetto da considerare. Con l’estensione dell’autorità multinazionale anche alle politiche economiche strutturali e di “competitività”, l’Italia avrà completato il processo di devoluzione della propria sovranità in materia di politica economica nella gestione dell’attuale crisi. Può essere che questo agevolerà l’impeto riformista del prossimo governo. E’, comunque, un aspetto di cui essere consapevoli.

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