Mai sottovalutare i banchieri centrali. Non soltanto oggi, quando all’apice della crisi dei debiti sovrani la Banca centrale europea sembra l’unica istituzione in grado di placare Lady Spread, ma anche quando si tratta di rileggere il lungo e tortuoso percorso che ha portato alla creazione dell’Europa unita. E’ quanto sostiene Mario Draghi, attuale presidente dell’Eurotower, in un breve scritto che il Foglio ha letto: “L’unione monetaria europea ha dato i suoi frutti con la creazione della Banca centrale europea il primo giugno del 1998, seguita dall’introduzione dell’euro il primo gennaio del 1999 – esordisce l’ex governatore della Banca d’Italia nella prefazione al libro “Making the European Monetary Union” dello storico dell’Università di Princeton Harold James, in uscita a novembre per Harvard University press – Dietro questo risultato c’è un processo unico di cooperazione e unificazione monetaria che fu messo in moto nel 1957 dal Trattato di Roma”. Un’iniziativa “guidata innanzitutto dalla volontà politica di dare al mercato comune un’àncora monetaria stabile e di mettere l’Europa sulla strada di una maggiore integrazione”, prosegue Draghi presentando il volume assieme a Jaime Caruana (direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali) e spiegando come sia “naturale che i decisori politici furono giocatori con un ruolo chiave”.
Quel che è meno noto, ricorda il presidente dell’Eurotower in carica dalla fine del 2011, è che nel processo d’integrazione del continente “un ruolo molto importante fu giocato anche dalle Banche centrali degli stati membri della Comunità economica europea (più tardi Unione europea) e in particolare dai governatori degli Istituti centrali. Come guardiani della stabilità monetaria e finanziaria a livello nazionale, le Banche centrali furono direttamente influenzate dal processo di cooperazione e unificazione monetaria. Eppure il loro contributo specifico a partire dalla fine degli anni Cinquanta non è conosciuto in maniera diffusa né ben compreso, e questo è vero nell’opinione pubblica generale come anche nei circoli accademici”. Non si tratta di difesa corporativa della categoria, ovviamente. Piuttosto la Bce, d’accordo con la Bri, ha deciso nel 2008 di aprire in via straordinaria gli archivi dell’Istituto consentendo a uno dei più importanti storici della globalizzazione economico-finanziaria, James appunto, di scavarci dentro. I risultati della dettagliata ricerca, di cui pubblichiamo stralci qui sotto, si fermano ufficialmente al 1993, ma le lezioni per l’oggi non mancano. A partire dalla rivendicazione di quell’indipendenza dalla politica che Draghi attribuisce regolarmente all’Istituto di Francoforte e che riconosce già ai suoi predecessori: “Il foro nel quale i governatori dell’Unione cooperarono e prepararono l’Unione monetaria fu il ‘Comitato dei governatori delle Banche centrali degli stati membri della Cee’, creato nel 1964 con una decisione del Consiglio europeo. E’ stato ritenuto che il modo in cui questo Comitato dei governatori ha giocato un ruolo tanto importante nel processo di unificazione monetaria europea, per oltre tre decenni (1964-1993), meritasse una storia tutta sua. Un po’ a sorpresa questo Comitato dei governatori tenne i suoi incontri abituali nella sede della Banca dei regolamenti internazionali a Basilea, in Svizzera, ovvero fuori dall’Unione europea, fino a quando l’organo che gli succedette – l’Istituto monetario europeo (precursore diretto della Bce, ndr) – si spostò a Francoforte nel 1994”. Così i governatori “sottolinearono la loro indipendenza dal centro politico di Bruxelles. Nella storia non mancarono alcuni eccessi – come quando, ricorda James, il primo presidente della Bce Duisenberg rispose così alle sollecitazioni dei governi: “Io sento, ma non ascolto” –, eppure la tesi di fondo dell’accademico di Princeton è che, se oggi siamo a discutere concretamente di moneta unica, in massima parte lo dobbiamo a colleghi e predecessori di Draghi. I politici e il loro apporto, invece, sono ancora necessari, soprattutto oggi.
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