martedì 2 ottobre 2012

Bene i tagli, ma non il rigore che strangola il settore privato


Liberisti americani studiano Spagna e Francia e si domandano: perché da voi prevalgono le tasse sul dimagrimento dello stato?

Se esiste un leitmotiv che caratterizza la reazione europea alla crisi, è da identificare nell’inasprimento fiscale. Con il timone puntato su come alimentare lo stato piuttosto che sulla crescita economica, non stupisce il fatto che una nuova fase di recessione incomba all’orizzonte per l’intero continente.
Francia e Spagna, con le leggi finanziarie presentate la scorsa settimana, hanno “dato il là”. Il capo dell’Eliseo, François Hollande, all’inizio di quest’anno si era espresso a favore della crescita criticando il “rigore”. Eppure la sua nuova manovra finanziaria è interamente incentrata sull’imposizione dell’austerità sull’economia privata. Il bilancio “battagliero” illustrato venerdì, e che rappresenta la “tirata di cinghia” più decisa imposta al paese negli ultimi trent’anni, dovrebbe ridurre il deficit dal 4,5 per cento al 3 per cento del pil. Tale riduzione non è molto alta, ma l’affermazione di Hollande resta ancora fuorviante: persino il bilancio del 2011 aveva diminuito maggiormente il deficit in rapporto al pil. E’ sicuramente più indicativo sapere che due terzi dei 30 miliardi di euro di cosiddetti risparmi derivano dal nuovo gettito fiscale, mentre un terzo è rappresentato dai tagli alla spesa. O meglio, un terzo deriva dal rallentamento dell’incremento della spesa pubblica che – già seconda in Europa, pari al 56 per cento del pil – aumenterà di 6 miliardi di euro, attestandosi al 56,3 per cento. I bilanci di tutti i ministeri, eccezion fatta per Istruzione, Sicurezza e Giustizia, subiranno un taglio del 5 per cento, mentre la spesa per la Difesa diminuirà di 2,2 miliardi di euro. L’importo complessivo del libro paga del governo aumenterà leggermente, portandosi da 80,4 a 80,6 miliardi di euro. Per quanto riguarda le entrate, l’aliquota d’imposta per i redditi superiori ai 150.000 euro passerà dal 41 al 45 per cento.
La tanto temuta “tassa di Hollande” del 75 per cento per la parte eccedente dei redditi superiori al milione di euro verrà applicata per un biennio e si prevede che fornirà un (verosimilmente insignificante) gettito fiscale di 200 milioni di euro, quisquiglie rispetto al miliardo di euro derivante dalla riduzione da 1,3 milioni di euro a 800.000 euro della soglia per la tassa patrimoniale di “solidarietà”. Altri 3 miliardi di euro arriveranno dalla tassazione di plusvalenze, dividendi e interessi alla stregua di normali voci di reddito. I redditi da capitale finora erano tassati con le aliquote fisse del 19 per cento per le plusvalenze, del 21 per cento per i dividendi e del 24 per cento per gli interessi, mentre il prossimo anno queste voci verranno tassate con gli stessi scaglioni progressivi applicati al reddito da lavoro. In breve, secondo il ministro delle Finanze, per l’89 per cento delle famiglie francesi la bolletta fiscale non subirà alcun cambiamento o al massimo diminuirà leggermente. Ma l’1 per cento più ricco della popolazione il prossimo anno sborserà 2,8 miliardi di euro in più. Il ministro delle Finanze afferma che in questo modo “il sistema fiscale sarà imperniato sul principio della giustizia”. Ma il buon senso in economia è un’altra cosa. Altre misure per “riequilibrare” le imposte sulle società saranno indirizzate alle grandi aziende. Eliminando alcune deduzioni sulla tassa sul reddito e alcune esenzioni dalla tassazione dei redditi finanziari verranno raccolti circa 6 miliardi di euro.
Il bilancio spagnolo per il 2013, presentato giovedì, è più incentrato sui tagli alla spesa rispetto a quello francese: il 58 per cento del risanamento previsto è rappresentato infatti da minori uscite, mentre il 42 per cento deriva dal maggior prelievo. Inoltre Madrid ha tagliato in modo più deciso rispetto alla Francia la spesa dei propri ministeri: i bilanci dei dicasteri subiranno in media una riduzione dell’8,9 per cento e gli stipendi statali saranno tagliati del 3,9 per cento. Ma Madrid può affermare che le sue nuove misure di austerity sono incentrate sulla riduzione della spesa soltanto perché le famiglie spagnole l’anno scorso hanno già subito un enorme aumento delle tasse. La Finanziaria presentata giovedì annuncia per il prossimo anno un aumento delle entrate del 3,8 per cento – più di quanto originariamente previsto. In buona parte tale incremento è riconducibile all’aumento dell’Iva – entrato in vigore il mese scorso – dal 18 al 21 per cento. Il primo ministro, Mariano Rajoy, che nella campagna elettorale dell’anno scorso aveva promesso che non avrebbe aumentato l’Iva, a dicembre, appena entrato in carica, ha anche alzato le aliquote dell’imposta sul reddito. Ma la Finanziaria spagnola contiene qualche nuova fonte di entrate: un limite posto alle deduzioni degli ammortamenti per le grandi aziende dovrebbe fornire 2,4 miliardi di euro e una nuova imposta sui redditi da capitale a breve termine dovrebbe produrre attivi per 90 milioni di euro, mentre le vincite alla lotteria superiori ai 2.500 euro verranno tassate al 20 per cento. Venerdì, il ministro del Tesoro Cristóbal Montoro ha dichiarato che il governo ha pronta una “cassetta” di ulteriori provvedimenti fiscali che potrebbero essere lanciati nel corso del prossimo anno qualora le entrate risultassero minori del previsto.
I funzionari dell’Eurozona hanno accolto positivamente le misure previste ed è evidente che Madrid ha redatto il proprio bilancio per il 2013 con la mente concentrata sui cassieri europei. Solamente Bruxelles, il Fondo monetario internazionale e i principali quotidiani europei ritengono che l’aumento della pressione fiscale sia la soluzione per raggiungere un’inversione di tendenza dell’economia. A quattro anni dal peggior panico finanziario e a due anni e mezzo dall’aggravamento della crisi dell’euro, gran parte dell’Europa è ancora in una situazione di stagnazione, se non peggio. E una parte non piccola della colpa è da attribuire alla convinzione intellettuale del Vecchio continente, secondo la quale è possibile pareggiare i conti dello stato e, di conseguenza, ottenere la “crescita” continuando a saccheggiare l’economia privata.

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