martedì 2 ottobre 2012

Il rigore cieco all’europea turba l’America e le imprese

Le due austerity


Il Wsj fustiga l’ossessione solo contabile dell’Ue. Ora anche il patronat insorge

“Solo a Bruxelles, al Fondo monetario internazionale o sui principali giornali europei l’incremento della pressione fiscale è ritenuto la soluzione chiave per ottenere un’inversione di tendenza dell’economia”. Ieri il Wall Street Journal tornava così a fustigare la china presa dalla politica economica europea (l’articolo è tradotto sul Foglio in edicola a pagina tre). Dalla Grecia alla Spagna, passando per la Francia, le manovre finanziarie presentate dalle cancellerie del continente confermano – agli occhi dei liberali americani – che l’austerity in realtà è di due tipi, e l’Europa ha scelto quello sbagliato. Perché se il pareggio di bilancio diventa un feticcio, e alle riforme pro crescita e ai tagli di spesa si preferiscono sempre gli aumenti delle tasse, allora ecco che l’austerity si trasforma in “saccheggio dell’economia privata”.
Di fronte al perdurare di questo scenario, le associazioni degli imprenditori nei diversi paesi iniziano a pensarla un po’ come i liberali americani. Persino la nostra Confindustria si è fatta assertiva: “In Italia le imprese muoiono di troppe tasse”, ha detto sabato il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, proponendo la riduzione degli incentivi statali alle aziende in cambio di una riduzione delle imposte. Anche se poi ieri a replicargli è stato Vieri Ceriani, sottosegretario all’Economia: il cuneo fiscale non si ridurrà oltre i 5 miliardi previsti dal decreto Salva Italia, e per il fondo taglia tasse da finanziare con la lotta all’evasione bisognerà aspettare il prossimo governo. Anche negli altri paesi, però, il patronat inizia a muoversi.
In Francia per esempio si ragiona sui nuovi tagli arrivati il 28 settembre. Il presidente socialista François Hollande in campagna elettorale aveva criticato l’austerity, puntando invece sulla crescita: adesso però i nuovi piani sono a detta di tutti i più duri da trent’anni a questa parte. Per arrivare a un rapporto deficit/pil al 3 per cento dal 4,5 per cento attuale, Parigi punta per due terzi della manovra su nuove tasse, e un terzo soltanto da tagli di spesa: è stata aumentata infatti l’aliquota sui redditi oltre i 150 mila euro, si è intervenuto sul capital gain e sugli interessi da attività finanziarie, ma soprattutto sulle aliquote per le imprese: tutto questo dovrebbe portare in cassa 2,8 miliardi di euro. Misure che a Laurence Parisot, presidente del Medef, la confindustria francese, non piacciono molto: “Corriamo il rischio di uno choc di competitività”, ha detto. “L’obiettivo di arrivare a un rapporto deficit/pil del 3 per cento è sacrosanto”, ha detto la Parisot, “ma c’erano altri modi, per esempio ridurre almeno del doppio la spesa pubblica”. In Spagna le nuove misure varate giovedì scorso dal premier conservatore Mariano Rajoy aggrediscono maggiormente la spesa: il 58 per cento del bilancio 2013 sarà composto di tagli e solo il 42 per cento da nuove tasse; ma c’è anche da dire che la Spagna è stata falcidiata nei mesi scorsi da nuove imposte. Gli impreditori spagnoli riuniti nella Confederación Española de Organizaciones Empresariales (Ceoe) apprezzano i compromessi contenuti nella legge finanziaria sul 2013, ma sono fortemente “delusi dall’eliminazione delle deduzioni fiscali, che corrispondono a una vera e propria sovrattassa sul mondo produttivo. Si continua aumentando il carico fiscale sulle imprese concentrando su di loro l’austerità, senza introdurre cambiamenti essenziali nella gestione dei servizi pubblici”, hanno fatto sapere in una nota.

La Germania, infine, patria del rigorismo fiscale, è il contesto in cui la dialettica tra stato e imprenditori è più soft. Ma l’attenzione su nuove tasse è alta anche qui. La principale confederazione delle imprese, la Bdi (Bundesverband der Deutschen Industrie), ha adottato una posizione prudente sulla politica europea per evitare contrapposizioni con il governo federale di centrodestra tradizionalmente amico. D’altra parte, la Bdi non ha mai fatto mistero del fatto che anche la Germania, visto lo stock di debito, non può permettersi di sprecare risorse: “Dobbiamo dare il buon esempio. Se in Europa vogliamo il consolidamento fiscale, non possiamo comportarci diversamente in patria”. Però attenzione: “Non possiamo permetterci un aumento dell’imposizione”, ha detto il presidente Hans-Peter Keitel. “Guardiamo con preoccupazione all’evoluzione del piano energetico nazionale e ai progetti per nuove tasse giacenti in Parlamento che rischiano di alzare ancora il costo del lavoro”.

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