martedì 2 ottobre 2012

L’impudenza dei rottamatori che vogliono mettere Zeman all’ospizio, di Jack O'Malley


That win the best

Quando l’età non è più sinonimo di esperienza ma solo di vecchiaia, è quello il momento in cui cominciare seriamente a preoccuparsi. Da filosofo a rimbambito, da profeta a senza idee, questa volta a Zeman non hanno concesso nemmeno il girone di andata: sei giornate e persino Mario Sconcerti si permette di liquidarlo con un commento tecnico che suona così: “Zeman ha più anni del sottoscritto”. Ora capisco che laggiù siete tutti presi dalla sindrome della rottamazione, ma nel calcio non è detto che sostituire gli Zeman con gli Stramaccioni sia sinonimo di progresso. Certamente il boemo ci sta mettendo del suo, producendo un gioco più confuso di un tweet di Gianni Riotta, ma prenotargli il ricovero in ospizio dopo tre mesi in cui tutti i giorni si sono sprecate parole sulla sua genialità è roba che al confronto Gianfranco Fini è un politico coerente. Da noi in Inghilterra queste cose non succedono, nemmeno quando uno come Alex Ferguson (molto più vecchio di Sconcerti) perde in casa contro uno come André Villas-Boas (Manchester United-Tottenham 2-3, sabato): nessuno si sogna di dire che bisognerebbe far largo al secondo. Ma certo, c’è una piccola differenza tra Ferguson e Zeman. Uno dei due in carriera ha vinto tutto, l’altro nemmeno la Mitropa Cup.
Benché molto affezionato al mourinhano “zeru tituli”, non penso che tutto possa essere ridotto al mero risultato, altrimenti tiferei Barcellona e mi occuperei di quel torneo dell’oratorio esteso a livello nazionale che è la Liga, o di quell’altro campionato in cui gli Harlem Globetrotter del calcio sfidano località turistiche tipo il Bastia; e quindi onore a Zeman, grande vecchio del calcio ma non abbastanza vecchio dentro per essere accantonato in un angolo e deriso da chicchessia.   Soprattutto se si considera la qualità dei derisori. I giovani bravi esistono, ma non sono mai bravi in quanto giovani. Prendiamo Roberto Di Matteo, che guida la classifica della Premier con quel Chelsea che l’anno scorso mi ha generato un tale pregiudizio positivo con quel pareggio-vittoria sul Barcellona (non ve lo ricordate? Smettete di fare quello che state facendo e andate su Youtube, presto) che ora spero che vinca tutto; ecco, Di Matteo è persona seria, e lo si evince anche dal fatto che parla meglio l’inglese dell’italiano. Roberto Mancini, in questo senso, ne ha di corsi De Agostini da macinare, e le interviste dove dice, spavaldo, che “we win” invece di “we will win” sono pura goduria calcistica e linguistica. Con 14 gol subiti in sette partite il titolo è complicato vincerlo, comunque la si voglia coniugare.

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