That win the best
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Benché molto affezionato al mourinhano “zeru tituli”, non penso che tutto possa essere ridotto al mero risultato, altrimenti tiferei Barcellona e mi occuperei di quel torneo dell’oratorio esteso a livello nazionale che è la Liga, o di quell’altro campionato in cui gli Harlem Globetrotter del calcio sfidano località turistiche tipo il Bastia; e quindi onore a Zeman, grande vecchio del calcio ma non abbastanza vecchio dentro per essere accantonato in un angolo e deriso da chicchessia. Soprattutto se si considera la qualità dei derisori. I giovani bravi esistono, ma non sono mai bravi in quanto giovani. Prendiamo Roberto Di Matteo, che guida la classifica della Premier con quel Chelsea che l’anno scorso mi ha generato un tale pregiudizio positivo con quel pareggio-vittoria sul Barcellona (non ve lo ricordate? Smettete di fare quello che state facendo e andate su Youtube, presto) che ora spero che vinca tutto; ecco, Di Matteo è persona seria, e lo si evince anche dal fatto che parla meglio l’inglese dell’italiano. Roberto Mancini, in questo senso, ne ha di corsi De Agostini da macinare, e le interviste dove dice, spavaldo, che “we win” invece di “we will win” sono pura goduria calcistica e linguistica. Con 14 gol subiti in sette partite il titolo è complicato vincerlo, comunque la si voglia coniugare.
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