Risultati elettorali e scudo (a metà) della Bce potrebbero far rinviare una cura choc per il regionalismo iberico
L’esito delle elezioni nelle regioni dei Paesi Baschi e della Galizia riaccende nuovamente i riflettori sulla Spagna e sulla capacità del governo di Mariano Rajoy, leader del Partito popolare, di stabilizzarne l’economia e, soprattutto, di attuare un ambizioso programma di riforme che ancora stenta a partire. Nei Paesi Baschi, come nelle attese, il partito nazionalista basco si è rafforzato conquistando la maggioranza relativa dei seggi, 27 su 75. Il leader del Partito nazionalista basco, Iñigo Urkullu, assumerà a breve la guida dell’amministrazione regionale dopo aver formato una coalizione che probabilmente includerà il Partito socialista e i suoi 16 seggi. In Galizia, invece, il Partito popolare di Rajoy accresce la sua maggioranza assoluta conquistando nella regione nativa del premier 41 seggi su 75, tre in più rispetto alle elezioni precedenti.
La scadenza elettorale ormai alle spalle, secondo alcuni osservatori, accresce l’imminenza di una formale richiesta di aiuto nell’ambito del nuovo programma Outright monetary transactions (Omt) della Banca centrale europea, programma attraverso il quale Mario Draghi si impegnerebbe ad acquisti potenzialmente illimitati di titoli governativi sul mercato secondario per stabilizzarne i corsi e migliorare le condizioni di accesso dei debitori sovrani in difficoltà. Eppure, proprio l’introduzione dell’Omt potrebbe, invece, indurre il primo ministro spagnolo a perseverare in quell’attesa che il recente risultato elettorale sembra quasi aver premiato. D’altro canto, la massiccia liquidità messa già a disposizione dalla Bce e quella appena promessa di un ulteriore, potenzialmente illimitato intervento sotto l’ombrello dell’Omt, congiuntamente alle operazioni non convenzionali annunciate delle Banche centrali di Stati Uniti e Giappone, hanno creato un argine che, per il momento, molti operatori considerano difficile da valicare.
Del resto, la politica regionale in Spagna non sembra offrire scadenze a breve tali da facilitare una svolta proattiva in senso riformista rispetto alla gestione delle vulnerabilità crescenti dell’economia di Madrid. Tra circa un mese, il governo di Mariano Rajoy dovrà affrontare nuove elezioni regionali, questa volta indette dal Parlamento della Catalogna, la regione più ricca del paese. Sullo sfondo, anche in questo caso, c’è un’agenda secessionista che verrà presumibilmente appoggiata dai due terzi del neo eletto Parlamento. Sotto lo spettro di un referendum secessionista che verrebbe indetto non prima del 2014 e che finirebbe con il dominare, in pratica, la dinamica politica nella seconda parte del mandato di Rajoy, non vanno escluse, a breve, ulteriori scadenze elettorali anticipate nelle altre regioni spagnole. Dopo aver tutte mancato gli obiettivi di disavanzo previsti nel 2011, ben otto regioni, sinora, hanno richiesto l’intervento del fondo di liquidità regionale per tamponare le loro asfittiche casse, di fatto drenanondone l’intera capacità finanziaria.
Le conseguenze rischiose per l’euro
Proprio la dimensione regionale continua a rimanere il tallone d’Achille di Madrid, sopendo l’impeto riformista di qualsiasi governo di qualsiasi colore. In Spagna le regioni hanno competenze su circa la metà della spesa pubblica non previdenziale. In contrasto, la loro capacità di intervenire sul fronte delle entrate è assai limitata, non avendo competenze in materia di Iva o tassazione sul reddito delle imprese e delle persone fisiche. La composizione della spesa regionale – con scuola, sanità e servizi di pubblica utilità che assorbono, in media, circa l’80-85 per cento dei rispettivi bilanci regionali – rende altamente politicizzato qualsiasi tentativo di razionalizzazione. Di qui, il continuo rinviare la palla al governo centrale, il quale è, a sua volta, esitante nel tagliare i sussidi di disoccupazione o le spese infrastrutturali.
Il risultato è che, nonostante la Spagna abbia mancato l’obiettivo di disavanzo che si era data nel 2011 nella misura di ben tre punti percentuali di pil, il governo ha appena annunciato la decisione di maggiorare le pensioni per compensare l’erosione del potere di acquisto dovuto all’inflazione.
L’incertezza che ne consegue e il pedaggio che essa impone alle sempre più asfittiche prospettive di crescita aggravano il problema minando la sostenibilità del debito a causa di un pil che si restringe inesorabilmente. La catena di trasmissione di una prossima escalation speculativa sul debito spagnolo, pertanto, agirebbe sulle aspettative (stabilmente recessive) di crescita quando diverrà evidente che Madrid non è in grado di attuare una strategia di stabilizzazione di medio periodo.
In un tale contesto, è evidente che la richiesta di attivare l’Omt, quando essa avverrà, aprirà un nuovo, incerto capitolo nella crisi dell’Eurozona, lungi dall’essere quell’intervento risolutivo auspicato da molti. Di fronte a una possibile, anzi probabile, inadempienza di Madrid rispetto alla gamma di condizioni concordate con la Spagna, la Bce si troverà dinanzi a un bivio: sospendere immediatamente il programma di acquisti con la conseguenza di scatenare quello tsunami finanziario che essa intendeva evitare proprio grazie al suo intervento; oppure richiedere, insieme alle autorità europee, il commissariamento economico del paese come condizione necessaria per la continuazione del programma.
Il precedente di Washington e New York
Quest’ultima opzione esporrebbe la Bce a un rischio politico incalcolabile, persino superiore a quella della sua omologa istituzione negli Stati Uniti, la Federal Reserve. Nel salvataggio della città di New York negli anni Settanta e in quello di Washington, negli anni Novanta, il Congresso degli Stati Uniti autorizzò l’intervento federale a condizione che le due città istituissero un “control board” di nomina congressuale con l’incarico di supervisionare le finanze municipali. La Fed, nonostante le enormi pressioni, riuscì a rimanerne fuori. In assenza di un governo europeo, tuttavia, la Bce potrebbe essere chiamata, di nuovo, a svolgere un ruolo (indesiderato) di supplenza. In ogni caso, la Spagna rischia di rappresentare un momento risolutivo, nel bene o nel male, per i futuri assetti dell’Eurozona.
Le conseguenze rischiose per l’euro
Proprio la dimensione regionale continua a rimanere il tallone d’Achille di Madrid, sopendo l’impeto riformista di qualsiasi governo di qualsiasi colore. In Spagna le regioni hanno competenze su circa la metà della spesa pubblica non previdenziale. In contrasto, la loro capacità di intervenire sul fronte delle entrate è assai limitata, non avendo competenze in materia di Iva o tassazione sul reddito delle imprese e delle persone fisiche. La composizione della spesa regionale – con scuola, sanità e servizi di pubblica utilità che assorbono, in media, circa l’80-85 per cento dei rispettivi bilanci regionali – rende altamente politicizzato qualsiasi tentativo di razionalizzazione. Di qui, il continuo rinviare la palla al governo centrale, il quale è, a sua volta, esitante nel tagliare i sussidi di disoccupazione o le spese infrastrutturali.
Il risultato è che, nonostante la Spagna abbia mancato l’obiettivo di disavanzo che si era data nel 2011 nella misura di ben tre punti percentuali di pil, il governo ha appena annunciato la decisione di maggiorare le pensioni per compensare l’erosione del potere di acquisto dovuto all’inflazione.
L’incertezza che ne consegue e il pedaggio che essa impone alle sempre più asfittiche prospettive di crescita aggravano il problema minando la sostenibilità del debito a causa di un pil che si restringe inesorabilmente. La catena di trasmissione di una prossima escalation speculativa sul debito spagnolo, pertanto, agirebbe sulle aspettative (stabilmente recessive) di crescita quando diverrà evidente che Madrid non è in grado di attuare una strategia di stabilizzazione di medio periodo.
In un tale contesto, è evidente che la richiesta di attivare l’Omt, quando essa avverrà, aprirà un nuovo, incerto capitolo nella crisi dell’Eurozona, lungi dall’essere quell’intervento risolutivo auspicato da molti. Di fronte a una possibile, anzi probabile, inadempienza di Madrid rispetto alla gamma di condizioni concordate con la Spagna, la Bce si troverà dinanzi a un bivio: sospendere immediatamente il programma di acquisti con la conseguenza di scatenare quello tsunami finanziario che essa intendeva evitare proprio grazie al suo intervento; oppure richiedere, insieme alle autorità europee, il commissariamento economico del paese come condizione necessaria per la continuazione del programma.
Il precedente di Washington e New York
Quest’ultima opzione esporrebbe la Bce a un rischio politico incalcolabile, persino superiore a quella della sua omologa istituzione negli Stati Uniti, la Federal Reserve. Nel salvataggio della città di New York negli anni Settanta e in quello di Washington, negli anni Novanta, il Congresso degli Stati Uniti autorizzò l’intervento federale a condizione che le due città istituissero un “control board” di nomina congressuale con l’incarico di supervisionare le finanze municipali. La Fed, nonostante le enormi pressioni, riuscì a rimanerne fuori. In assenza di un governo europeo, tuttavia, la Bce potrebbe essere chiamata, di nuovo, a svolgere un ruolo (indesiderato) di supplenza. In ogni caso, la Spagna rischia di rappresentare un momento risolutivo, nel bene o nel male, per i futuri assetti dell’Eurozona.
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