lunedì 13 giugno 2011

Da Reagan a Putin, quando le ricette fiscali "guariscono" i bilanci, di Claudio Borghi

L'adozione di un'aliquota unica al 13 per cento incrementò il gettito di oltre il 25% in un anno. Il passato dimostra che si può osare


Da Kennedy a Reagan l’aliquota fi­scale marginale negli Stati Uniti scese dal 91% al 28%, eppure il contributo dei «ricchi» alla raccolta fiscale americana si moltiplicò. Sempre Reagan (che non le faceva tutte giuste) decise di alzare le tasse sui guadagni da capitale dal 14% al 28%. Ebbene, il gettito si ridusse stabil­mente a un terzo. Le tasse sono una cosa delicata e una riforma, per essere tale, dev’essere radicale. Se la riforma fiscale che ha in mente il governo è rappresenta­ta dalle anticipazioni che vengono di­scusse in questi giorni tanto vale essere sinceri e dire che per la «prudenza» tan­to cara a Tremonti (e che in effetti in pas­sato ci ha servito bene) non si tocca nul­la.

Una riforma vera, come quelle realiz­zate in passato da altri Stati, deve rappresentare un voltare pagi­na, una rivoluzione, una disconti­nuità seria. Tagliare di uno o due punti un’aliquota (specialmente quella minore, che ospita felice­mente tutti gli evasori) per alzare l’Iva o peggio alzare la tassazione sui titoli, rimarrà solo nella storia delle perdite di tempo e non porte­rà né benefici né un solo voto in più nelle urne della maggioranza. Per avere speranze di successo oc­corre mettere in gioco decine di punti percentuali e di nuovi modi di intendere il rapporto con lo Sta­to. In Italia peraltro la diagnosi e la cura sembrerebbero di disarman­te semplicità: da noi le tasse sono altissime e le pagano pochissimi, basterebbe che le tasse fossero basse e pagate da tutti per risolve­re il problema.

Quello che non si capisce è che l’abbassamento dra­s­tico delle aliquote e l’allargamen­to della base imponibile deve av­venire in contemporanea, altri­menti sperare che prima tutti pa­ghino tasse da record per poi ab­bassarle è utopia pura. Il controllo inflessibile e magari la gogna in piazza andrebbero benissimo so­lo a seguito di un nuovo patto fisca­le con i cittadini, dove lo Stato ridi­mensiona le sue pretese e quindi non perdona più chi sgarra. Per saltare però ci vuole coraggio. In Paesi affetti da altissimi livelli di evasione fiscale finora la ricetta che ha funzionato è stata solo quella della flat tax . In Russia nel 2001 la situazione era drammati­ca: altissima evasione e congiun­tura economica recessiva peggio­rata dall’attentato dell’11 settem­bre. Noi scegliemmo la strada del­la prudenza e non toccammo nul­la, abbandonando l’idea vincente delle due aliquote proposte da Berlusconi nel famoso «contratto con gli italiani», Putin invece deci­se di fare il salto e fissò un’incredi­bile aliquota unica al 13%.

Il risul­tato fu un boom economico e uno stupefacente incremento del getti­to fiscale di oltre il 25%già nell’an­no immediatamente successivo alla riforma. Neanche da dire che in casa no­stra invece i minitaglietti operati da Siniscalco (messo al posto di un anche allora irremovibile Tre­monti), vennero solo minima­mente percepiti dai cittadini, non salvando il centrodestra dalle ur­ne ma aprendo tuttavia, pur nella loro inconsistenza, la strada a un aumento del gettito che venne poi raccolto e sperperato nei famosi «tesoretti» dal governo Prodi. L’esperienza positiva della flat tax russa invece venne poi seguita da quasi tutti i Paesi dell’Europa del­­l’Est e finora i successi sono stati notevolmente superiori agli in­convenienti indipendentemente dalle condizioni congiunturali. Anche l’Ungheria a gennaio di quest’anno ha deciso di«fare il sal­to » e ha fissato un’aliquota unica al 16%. Vedremo se avranno avu­to più ragione loro con il coraggio o noi con la prudenza, anche se le prime indicazioni sull’accelera­zione della crescita ungherese nel primo semestre sembrano lascia­re pochi dubbi su come andrà a fi­nire.

Nell’attesa che da noi qualcu­no si svegli alla mattina e decida di abbandonare il bilancino da far­macista per prendere lo spadone di Reagan contro le tasse unito a quello della Thatcher contro gli inutili sussidi a sindacati e settori industriali decotti, ci permettia­mo di ric­ordare che c’è stato un Pa­ese europeo che ha discusso a lun­go negli anni passati se mantene­re le aliquote elevate e progressi­ve o tentare di tagliarle pesante­mente introducendone solo due. Per prudenza poi si decise di non toccare nulla e di mantenere le ali­quote invariate. Quel paese si chia­ma Grecia.

Nessun commento: