lunedì 6 giugno 2011

La borghesia che non c'è più, di Ruggero Guarini

Il premier dopo la sconfitta di Milano e Napoli dovrebbe riconquistare la borghesia. Ma esiste ancora in Italia una borghesia? Dall’aria che tira sembrerebbe proprio di no. Si direbbe, anzi, che ormai non esistano più nemmeno le altre classi sociali.

Sempre più spesso, dai giorni della sconfitta di Milano e di Napoli, si sente dire che Berlusconi, per riprendersi da quella botta, deve riconquistare la fiducia della borghesia. Ma esiste ancora in Italia una borghesia? Dall’aria che tira sembrerebbe proprio di no. Si direbbe, anzi, che ormai non esistano più nemmeno le altre classi sociali. Esiste soltanto un immenso coacervo speciale in cui tutte le antiche classi e sottoclassi (alta, media e piccola borghesia; classe operaia, contadini e coltivatori diretti; sottoproletariato e plebi urbane), nonostante le vistose differenze economiche e sociali ancora riscontrabili, e oggi spesso persino più madornali di quelle del passato, formano tuttavia un solo sterminato e informe aggregato che nemmeno può dirsi un “popolo” giacché in effetti è soltanto un “pubblico”. Ragion per cui la sola reale differenza di classe che può ravvisarsi oggi in Italia è quella che divide questo immenso pubblico ubiquitario dai suoi nuovi padroni e padrini: gli incantatori e i tribuni del discorso mass-mediatico. Una borghesia degna di questo nome dovrebbe essere in primo luogo gagliardamente antistatalista. Ma c’è un solo ceto che oggi da noi possa dirsi davvero tale? A provare che non esiste basta il fatto che ormai nessuno osa dichiararsi apertamente ostile all’interventismo statale. Tutti al contrario lo invocano sempre più frequentemente non soltanto nelle cose dell’economia bensì in ogni circostanza immaginabile, compresi quegli ambiti che un tempo erano considerati squisitamente privati.


Anzi compresi quei piani dell’esistenza in cui regna sovrano il caso, sicché nella pretesa di considerare anch’essi un legittimo campo dell’intervento statale si esprime quello che è forse il nòcciolo dell’illusione totalitaria: il sogno di estirpare l’imprevisto e l’ingovernabile dalla vita. Quasi ogni giorno le nostre cronache provvedano a ricordarci quanto gli effetti di questa illusione possano essere aberranti. Se un ciclista cade, sbatte la testa a terra e muore, subito salta fuori qualcuno che esige che sia reso obbligatorio il casco anche per chi pedala in città. Se un terremoto si abbatte da qualche parte con effetti micidiali subito salta fuori il team di magistrati pronti a sbattere in galera quei sismologi che si sono permessi di non prevedere il sisma. Se qualcuno, anziché usare i propri quattrini in maniera conforme agli interessi dei suoi congiunti, preferisce offrirli a un’associazione culturale o religiosa, subito salta fuori il procuratore d’assalto pronto a contestargli il diritto di fare del proprio denaro l’uso che preferisce definendolo incapace di intendere e di volere. Se dei bambini nordafricani muoiono annegati nel Mediterraneo per colpa dei loro incauti genitori (anch’essi morti annegati nel medesimo naufragio) subito spunta fuori qualche rappresentante del buonismo statalista per chiedere in che modo il nostro governo intende onorare la morte di quei piccini. Nulla comunque dimostra il successo universale dell’illusione dirigista nel nostro Paese come l’idea, diffusa in tutti gli ambiti sociali, che il rilancio dell’economia sia un compito dello Stato. Quando è evidente il solo modo in cui lo Stato potrebbe favorire quel rilancio sarebbe l’allentamento dei freni che concorrono a impedirlo. Il che però equivarrebbe a chiedergli – come osservava ieri uno dei nostri bloggers più sagaci: Gianni Pardo – non già di fare qualcosa, ma al contrario di smettere di farla. Borghesia, se ci sei, dimostralo smettendola di vagheggiare anche tu lo Stato tuttofare.

http://www.iltempo.it/politica/2011/06/06/1262899-borghesia.shtml

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