lunedì 13 giugno 2011

Fisco, ecco i tre modi per tagliare le tasse, di Francesco Forte

Le leve su cui occorre intervenire riguardano gli oneri fiscali per il salario di produttività, gli oneri contributivi per i contratti di inserimento nel lavoro dei giovani e l’alleggerimento dell’imposizione sugli investimenti delle imprese


Fra Giulio Tremonti e Roberto Maro­ni si è svolta una cortese polemica sul coraggio e sulla prudenza. Il ministro dell’Economia Tremonti sostiene che serve prudenza perché la crisi non è an­cora finita e grazie alla politica di rigore l’Italia deve arrivare al quasi pareggio nel 2014. Giusto, dice il ministro dell’In­terno Maroni, dobbiamo pareggiare il bilancio non tanto perché ce lo chiede l’Europa ma perché è necessario. Però, aggiunge, in questi momenti serve più il coraggio che la prudenza. Il coraggio di sfidare la congiuntura e quello di fare un gesto importante e atteso in campo fisca­le. Tremonti replica che ci vuole molto coraggio a essere prudenti. Maroni insi­ste che è vero, ma che ci sono due modi di vedere la stessa cosa.

Questo dibattito non è nuovo. Una vol­ta, nel 1950, Conrad Adenauer, cancelliere della Repubblica Federale tedesca, di fronte alle rigide posizioni di prin­cipio del suo ministro dell’Econo­mia Ludwig Erhard, commentò freddamente: «Si può cavalcare un principio fino alla morte». Ma l’economia tedesca allora era in forte crescita e il rigore aveva una robusta contropartita. Il coraggio della prudenza di Erhard così ave­va­oramai una base politica di con­sensi, che garantiva la sua prose­cuzione. Erhard aveva avuto mol­to coraggio prima, nel giugno del 1948, quando aveva fatto una com­plicata r­iforma monetaria nel pae­se distrutto dalla guerra, riportan­do la Germania all’economia di mercato, a cui non era più abitua­ta dagli anni ’30. E fra lo scettici­smo e gli scioperi contro di lui, ave­va innescato il miracolo economi­co tedesco, mediante riforme a spizzico,che seguivano il suo prin­c­ipio teorico dell’economia socia­le di mercato. Quando Margaret Thatcher pre­se il potere nel 1979, l’economia inglese, in precedenza governata dai laburisti con politiche keyne­siane di elevata spesa pubblica, deficit di bilancio e moneta per­missiva, era in una situazione di alta inflazione e bassa crescita.

La Thatcher, denominata la lady di ferro, alzò il tasso di interesse, ta­gliò drasticamente le spese, ridus­se l’aliquota base dell’imposta sul reddito del 3%, aumentò l’Iva e l’imposta sui consumi di lusso,pri­vatizzò e, dopo un anno di defla­zione, ottenne la svolta con la ri­presa della crescita e la caduta del­l’inflazione. Approvò una mano­vra globale di restaurazione del­l’ortodossia del mercato, con un periodo iniziale di forte impopola­rità perché le politiche dei suoi predecessori avevano perso mol­to credito e lei era all’inizio della legislatura. Ma affrontò la grande sfida con un enorme coraggio e fu ripagata dal successo economico ed elettorale. Anche Ronald Rea­gan, che divenne presidente degli Usa nel 1981, agì coraggiosamen­te soprattutto riducendo le impo­ste e deregolando l’economia. Il deficit iniziale di bilancio che ciò provocò fu riassorbito mediante l’aumento delle basi imponibili, dovuto alla crescita del Pil.

I tre coraggiosi esempi hanno tutti una caratteristica comune che merita di essere imitata in Ita­lia: sono state applicate politiche rivolte a stimolare l’offerta del­l’economia, mediante gli incenti­vi del mercato. E in due di questi casi, quello di Thatcher e di Rea­gan, c’è stato anche il coraggio di tagliare le imposte, mentre dima­griva il governo. I tre casi però han­no anche una caratteristica comu­ne, che li rende diversi rispetto al­l’Italia. Parliamo di tre grandi na­zioni industriali, che avevano ac­cumulato, nella storia, grande pre­stigio e credibilità. Il mercato in­ternazionale non dà all’Italia la medesima credibilità. E l’atto di coraggio che si chiede a Tremon­ti, nel campo tributario, pertanto non si può accompagnare a modi­fiche sostanziali nel rigore. Inol­tre non siamo all’inizio, ma quasi al termine della legislatura. Qui però non si tratta di fare una rifor­ma fiscale integrale del costo di 80 miliardi. Adesso occorre una se­rie di misure pro crescita, che ab­biano un effetto galvanizzante, con una perdita di gettito circo­scritta e ripartita sul triennio.

Emergono tre temi: gli oneri fisca­li per il salario di produttività, quelli contributivi per i contratti di inserimento nel lavoro dei più giovani,l’alleggerimento della tas­sazione degli investimenti delle imprese. Ha però ragione Tremonti di non voler recuperare la perdita di gettito con la tassazione del rispar­mio, bene prezioso più dell’ac­qua, e con l’aumento lineare delle aliquote Iva, che genererebbe in­flazione. Nei 250 miliardi di agevo­lazioni fiscali esistenti si possono pescare altri recuperi di gettito, ba­sta avere coraggio con le caste e le cricche e maggiore fantasia.

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