Le leve su cui occorre intervenire riguardano gli oneri fiscali per il salario di produttività, gli oneri contributivi per i contratti di inserimento nel lavoro dei giovani e l’alleggerimento dell’imposizione sugli investimenti delle imprese
Fra Giulio Tremonti e Roberto Maroni si è svolta una cortese polemica sul coraggio e sulla prudenza. Il ministro dell’Economia Tremonti sostiene che serve prudenza perché la crisi non è ancora finita e grazie alla politica di rigore l’Italia deve arrivare al quasi pareggio nel 2014. Giusto, dice il ministro dell’Interno Maroni, dobbiamo pareggiare il bilancio non tanto perché ce lo chiede l’Europa ma perché è necessario. Però, aggiunge, in questi momenti serve più il coraggio che la prudenza. Il coraggio di sfidare la congiuntura e quello di fare un gesto importante e atteso in campo fiscale. Tremonti replica che ci vuole molto coraggio a essere prudenti. Maroni insiste che è vero, ma che ci sono due modi di vedere la stessa cosa.
Questo dibattito non è nuovo. Una volta, nel 1950, Conrad Adenauer, cancelliere della Repubblica Federale tedesca, di fronte alle rigide posizioni di principio del suo ministro dell’Economia Ludwig Erhard, commentò freddamente: «Si può cavalcare un principio fino alla morte». Ma l’economia tedesca allora era in forte crescita e il rigore aveva una robusta contropartita. Il coraggio della prudenza di Erhard così avevaoramai una base politica di consensi, che garantiva la sua prosecuzione. Erhard aveva avuto molto coraggio prima, nel giugno del 1948, quando aveva fatto una complicata riforma monetaria nel paese distrutto dalla guerra, riportando la Germania all’economia di mercato, a cui non era più abituata dagli anni ’30. E fra lo scetticismo e gli scioperi contro di lui, aveva innescato il miracolo economico tedesco, mediante riforme a spizzico,che seguivano il suo principio teorico dell’economia sociale di mercato. Quando Margaret Thatcher prese il potere nel 1979, l’economia inglese, in precedenza governata dai laburisti con politiche keynesiane di elevata spesa pubblica, deficit di bilancio e moneta permissiva, era in una situazione di alta inflazione e bassa crescita.
La Thatcher, denominata la lady di ferro, alzò il tasso di interesse, tagliò drasticamente le spese, ridusse l’aliquota base dell’imposta sul reddito del 3%, aumentò l’Iva e l’imposta sui consumi di lusso,privatizzò e, dopo un anno di deflazione, ottenne la svolta con la ripresa della crescita e la caduta dell’inflazione. Approvò una manovra globale di restaurazione dell’ortodossia del mercato, con un periodo iniziale di forte impopolarità perché le politiche dei suoi predecessori avevano perso molto credito e lei era all’inizio della legislatura. Ma affrontò la grande sfida con un enorme coraggio e fu ripagata dal successo economico ed elettorale. Anche Ronald Reagan, che divenne presidente degli Usa nel 1981, agì coraggiosamente soprattutto riducendo le imposte e deregolando l’economia. Il deficit iniziale di bilancio che ciò provocò fu riassorbito mediante l’aumento delle basi imponibili, dovuto alla crescita del Pil.
I tre coraggiosi esempi hanno tutti una caratteristica comune che merita di essere imitata in Italia: sono state applicate politiche rivolte a stimolare l’offerta dell’economia, mediante gli incentivi del mercato. E in due di questi casi, quello di Thatcher e di Reagan, c’è stato anche il coraggio di tagliare le imposte, mentre dimagriva il governo. I tre casi però hanno anche una caratteristica comune, che li rende diversi rispetto all’Italia. Parliamo di tre grandi nazioni industriali, che avevano accumulato, nella storia, grande prestigio e credibilità. Il mercato internazionale non dà all’Italia la medesima credibilità. E l’atto di coraggio che si chiede a Tremonti, nel campo tributario, pertanto non si può accompagnare a modifiche sostanziali nel rigore. Inoltre non siamo all’inizio, ma quasi al termine della legislatura. Qui però non si tratta di fare una riforma fiscale integrale del costo di 80 miliardi. Adesso occorre una serie di misure pro crescita, che abbiano un effetto galvanizzante, con una perdita di gettito circoscritta e ripartita sul triennio.
Emergono tre temi: gli oneri fiscali per il salario di produttività, quelli contributivi per i contratti di inserimento nel lavoro dei più giovani,l’alleggerimento della tassazione degli investimenti delle imprese. Ha però ragione Tremonti di non voler recuperare la perdita di gettito con la tassazione del risparmio, bene prezioso più dell’acqua, e con l’aumento lineare delle aliquote Iva, che genererebbe inflazione. Nei 250 miliardi di agevolazioni fiscali esistenti si possono pescare altri recuperi di gettito, basta avere coraggio con le caste e le cricche e maggiore fantasia.
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