sabato 18 giugno 2011

Giù le tasse, la proposta di Antonio Martino: "Per ripartire serve un'aliquota unica al 20%"

L’economista di scuola liberale: "Come dimostra l’esperienza di Reagan negli Usa, abbassando lo scaglione aumenta l’introito e l’economia riparte. Ma bisogna vincere i tabù e fare riforme vere. Serve il bisturi, non un pannicello caldo"


Come siamo giunti al panno caldo sul viso prima della rasatura, è presto detto. Antonio Martino stava dando la sua opinione sulla riforma fiscale di Tremonti, oggetto di questa intervista. Dopo un ragionamento articolato - tra verve siciliana e spirito anglosassone, com’è nel suo stile - ha concluso: «Quello che si sta facendo, è cosmesi. I nostri problemi di bilancio vanno invece affrontati con il bisturi delle riforme e non con i panni caldi della cosmesi». A questo punto - penso per ingentilire la drasticità del giudizio - ha aggiunto: «Io, per la verità, i panni caldi li adoro. Ne faccio uso per facilitare la rasatura». «Mai sentito», dico io. «L’ho imparato da Trumpers - replica Martino - il mio barbiere di Londra. Fa creme da barba meravigliose che mi faccio spedire. Le istruzioni descrivono così l’effetto del panno caldo: “I peli della barba vi si drizzeranno con orgoglio”». Martino si passa compiaciuto le dita sul viso e prosegue: «Uso anche un pennello di Trumpers. È fatto con i peli della pancia del tasso, molto più morbidi di quelli della schiena».

Potrei stare ore ad ascoltare queste cose perché il mio interlocutore passa amabilmente dai massimi sistemi alle frivolezze, dai grafici economici a certi tabacchi ginevrini che sa solo lui. Il suo ufficio di deputato del Pdl è gradevole e sommerso nella penombra di Vicolo Valdina, di fianco a Montecitorio. L’aria condizionata ci consente di stare in giacca e cravatta, lui addirittura in completo blu ambasciatore come ai tempi della Farnesina, di cui fu titolare nel 1994 col primo governo del Cav. Lo ascolterei per ore, ma la parentesi è finita.

Ho anticipato che la riforma fiscale di Tremonti non soddisfa questo incontentabile economista liberale, seguace dell’iperliberista Milton Friedman e fan di Ronald Reagan. Ma la bocciatura arriva per gradi. L’esordio è lusinghiero: «È straordinariamente positivo che Tremonti sia entrato nell’idea di riformare le imposte. Prima diceva di non avere soldi».

Tre scaglioni invece di cinque.
«Gran passo avanti. Bisognerà però vedere il livello delle aliquote e come sono definiti gli scaglioni».

Le notizie si accavallano. Nemmeno le leggo.
«Appartengo allo stesso club. Non ci credo, finché non arrivano in Parlamento».

Tre aliquote sono un progresso. Ma ai tempi d’oro del berlusconismo, 1994, si parlava di una sola.
«Fu proprio il Cav a volerla unica. Io ero per due, lui insistette per una. Aveva ragione e avrei dovuto saperlo. Ero infatti in contatto con Alvin Rabushka, il teorico dell’aliquota unica il cui motto era: “Fiscalità semplice, unica, bassa”».

Altri tempi.
«Li rimpiango. Sono rimasto legato all’aliquota unica. Che Berlusconi avesse ragione è dimostrato dai tanti Paesi che nel frattempo l’anno adottata, tra cui la Russia».

Tremonti vuole che la pressione fiscale resti intatta. Se taglia l’Irpef, aumenta l’Iva, o toglie le agevolazioni.
«Due obiezioni. Una di equità: le fasce a basso reddito non si avvantaggiano della riduzione delle aliquote e se l’Iva aumenta vanno a stare peggio. L’altra, è che l’invarianza di gettito denuncia la poca volontà di diminuire il peso dello Stato».

Tremonti punta al pareggio nel 2014.
«Il pareggio si ha in due modi: o aumentano le entrate o diminuiscono le spese».

Altre tasse? Follia. Già lavoriamo per lo Stato da gennaio a giugno.
«E finché continua non saremo un Paese libero».

Non resta che ridurre la spesa.
«A patto di farlo con riforme vere. I risparmi dell’oste a legislazione invariata sono rischiosi. L’elicottero militare italiano in Francia con sette elicotteristi a bordo, tutti morti, è precipitato perché mancavano i soldi per la revisione. Il pilota lo sapeva e non voleva decollare».

Che intende per tagli con le riforme?
«Vincere tabù. Io non penso, come Tremonti, che modificare il Welfare sia “macelleria sociale”».

Tra le proposte, quella di favorire le famiglie rispetto a scapoli e zitelle.
«Versione educata e moderna dell’imposta sul celibato introdotta da Mussolini».

Quando Reagan rivoluzionò il Fisco Usa, usò anche lui il bilancino, un taglio qua, un regalo là, ecc.?
«Fu radicale. Passò dall’imposta massima del 70 per cento a quella del 28».

Quanto perse in gettito?
«Aumentò, passando dal 7-8 per cento, all’8,1. Il deficit crebbe dello 0,1 per cento».

Com’è?
«La produzione schizzò su. L’abbassamento delle aliquote genera due effetti. L’effetto “onestà” perché si pagano le tasse e l’effetto reddito perché l’economia tira di più».

Torniamo a noi. Vale la pena affannarsi per lasciare su per giù le cose come stanno?
«Stiamo facendo cosmesi. L’espediente avrebbe senso solo se servisse a convincere i nostri elettori che qualcosa cambia. Ne dubito. (A questo punto, Martino parla del bisturi che sarebbe necessario e dell’inutilità dei pannicelli caldi).

Che farebbe lei al posto di Tremonti?
«Due cose: diminuire le spese e tagliare le tasse. Con-tempo-ra-nea-me-nte. Non una prima e l’altra dopo».

Quali spese?
«Riformerei le pensioni, innalzando l’età pensionabile di uomini e soprattutto delle donne. Cambierei la Sanità, togliendo l’assistenza gratuita ai privati sopra un certo reddito, lei e me, per intenderci. Supplirà l’assicurazione privata. Darei un taglio agli enti locali, oggi proliferanti».

Dal lato tasse?
«Aliquota unica, da definire, ma intorno al 20 per cento».

E lo Stato va a ramengo.
«Non è informato. Sa quant’è il gettito delle imposte dirette? No, che non lo sa. È minimo: il 14,6 per cento del Pil. E in ogni caso, come le ho già spiegato parlando di Reagan, abbassando l’aliquota, l’introito aumenta».

Lei ed io, in mezzora, abbiamo risolto tutto. Chi vuole ci segua. Passiamo ad altro. Basterà la riforma fiscale che si profila a fermare il declino del centrodestra?
«Il nostro declino è quello di Bush padre. Era reduce da una strepitosa vittoria in Kuwait ma mentì sulle tasse. Promise di non aumentarle. Le aumentò e vinse Clinton. Noi avevamo detto che le avremmo tagliate e non lo abbiamo fatto».

Sul declino hanno inciso più bunga bunga, guerra libica, immobilismo, lesina tremontiana o il naturale venire a noia del Cav?
«Manca il partito. Il Pdl è Berlusconi, circondato da persone che vogliono favori da lui. Ci vuole un meccanismo di selezione del personale politico. Non che vada avanti l’amico dell’amico, il drudo e così via, mentre i bravi arrancano».

http://www.ilgiornale.it/interni/meno_tasse_laliquota_unica_20/18-06-2011/articolo-id=529916-page=0-comments=1

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