venerdì 10 giugno 2011

I vani gesti del G20, di Martin Feldstein

Si sono recentemente riuniti a Washington i ministri delle finanze e i banchieri centrali delle 20 principali economie del mondo. Il meeting si è però concluso sostanzialmente con un nulla di fatto.

Il tema centrale sul tavolo del G20 è stato quello degli squilibri globali. Secondo il comunicato rilasciato dal gruppo, il vertice si è impegnato a imbastire una procedura volta ad identificare i paesi del G20 con squilibri persistentemente ampi e le relative cause. Questo delicato compito è stato assegnato al Fondo monetario internazionale, che deve portare a termine i lavori prima del prossimo incontro dei ministri fissato per ottobre.

Non serve un team di economisti del Fmi per rispondere a queste domande. Qualsiasi studente di economia riuscirebbe facilmente ad identificare i paesi con i maggiori surplus e deficit commerciali. Gli Stati Uniti si aggiudicano il primo premio con un deficit commerciale di oltre 650 miliardi di dollari registrato negli ultimi 12 mesi. Nessun altro paese si avvicina a tale primato per aggiudicarsi il secondo premio.

L’indicatore relativo alla bilancia delle partite correnti (rappresentata dal commercio di servizi e dal reddito netto da investimenti) conferma l’America in testa alla classifica: il suo deficit esterno si avvicina ai 500 miliardi di dollari. Nessun altro paese supera i 100 miliardi di dollari di deficit.

Anche se osserviamo i disavanzi delle partite correnti rispetto al Pil, il rapporto americano del 3,3% supera quello di qualsiasi altro paese. I tre paesi con il rapporto deficit/Pil più ampio, se messi insieme, costituiscono un disavanzo inferiore ai 70 miliardi di dollari – che non bastano ad attirare l’attenzione del G20.

Il paese con il maggiore surplus delle partite correnti è, ovviamente, la Cina, con un saldo positivo di oltre 300 miliardi di dollari. Seguono Giappone e Germania, i cui surplus delle partite correnti non superano però i 100 miliardi di dollari.

L’avanzo commerciale della Cina corrisponde al 4% del Pil. Diversi produttori petroliferi hanno ampi surplus delle partite correnti che, accorpati, potrebbero superare, in termini assoluti, quello cinese. E lo stesso si può dire anche di altri paesi europei ed asiatici con surplus elevati.

Ma la decisione del G20 di focalizzarsi solo sui paesi membri, che insieme rappresentano oltre il 5% del Pil, non prenderà in considerazione questi ultimi paesi. Solo Cina e Usa, e forse Germania e Giappone, saranno al centro del palcoscenico.

Non ci vuole così tanto ad identificare i paesi con grandi squilibri. E cosa dire allora delle cause di questi squilibri?

Qualsiasi studente di economia sa che il deficit delle partite correnti di un paese è pari alla differenza tra investimenti nazionali (in attrezzature, strutture e giacenze aziendali) e risparmi nazionali (di famiglie, imprese e governo). Non si tratta di una teoria o di una regolarità empirica; rientra nella definizione di contabilità nazionale.

Sugli Stati Uniti incombe un enorme deficit delle partite correnti perché il governo ha tendenzialmente speso più di quel che ha guadagnato utilizzando i risparmi nazionali del paese. Ed il contrario è facilmente riscontrabile per il surplus delle partite correnti cinese, tedesco e giapponese. In ognuno di questi paesi, il livello di risparmio nazionale supera gli investimenti domestici, lasciando che la produzione venga così esportata e che i fondi vengano recuperati all’estero.

Le manovre atte a ridurre gli squilibri commerciali e delle partite correnti sono abbastanza chiare. Gli Stati Uniti devono far lievitare il tasso di risparmio nazionale riducendo il proprio deficit fiscale, attualmente attorno al 10% del Pil. Fortunatamente, la fattibilità di tali operazioni è ora sotto gli occhi di Washington e dell’opinione pubblica americana. Il tutto prenderà forma quando il massiccio stimolo fiscale varato nel 2009 giungerà al termine, quando la macchina politica inizierà a mettere in atto tagli alla spesa e quando la crescita economica produrrà maggiori entrare fiscali.

Il Presidente Barack Obama parteciperà al vertice del G20 dei capi di stato che si terrà a novembre a Cannes e acconsentirà certamente alle riduzioni del deficit fiscale americano. Ma si tratterà di una promessa vana: il presidente americano ha meno potere legislativo di quanto non ne abbiano i capi di governo nelle democrazie parlamentari come la Gran Bretagna o in paesi come la Cina. Ora, per di più, il potere di Obama è ulteriormente circoscritto dal momento che il partito democratico controlla solo una delle camere del Congresso americano. La storia dei precedenti summit suggerisce che a Cannes il presidente si limiterà a promettere solo ciò che ha già proposto in patria.

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