Che fare, cosa non rifare/ 11
Cosa ha provocato la sconfitta del centrodestra è presto detto e, al contempo, richiederebbe un lungo elenco. Non si può annunciare per più di tre lustri la riforma della giustizia e non farne nulla. Non si può rovinare una buona politica estera partecipando malamente alla pessima guerra libica e lasciare un buon ministro degli Interni a gestire una situazione impossibile sul fronte immigrazione. Non si può promettere di abolire le province e poi crearne altre. Non è ammissibile che un governo liberale non riesca a fare una sola riforma liberale, neppure quelle a costo zero come abolire gli ordini professionali e che, invece, approvi leggi corporative e costose.
Sarà falso che si sia detto che “la cultura non si mangia”, ma ci si è comportati come se lo si pensasse, come se si credesse che la cultura è meglio resti nelle mani della sinistra perché tanto è roba sua. Anche sul fronte dell’istruzione è cominciata bene ed è finita male, con cedimenti al costruttivismo tecnocratico. Sono uno dei delusi, per aver lavorato alle nuove norme per la formazione degli insegnanti e vederle stravolte e rese irriconoscibili da un percorso di più di due anni di cedimenti alle pressioni corporative. E poi: che senso ha fare la voce grossa con i “comunisti” e sparare enormità in campagna elettorale mentre i ministeri vengono rimpinzati di consulenti di sinistra? Ora la situazione è tanto più grave perché l’alternativa è fasulla: il Pd canta vittoria ma conta sempre di meno. La coalizione di Prodi era un modello di compattezza rispetto all’attuale galassia.
Cosa deve fare il centrodestra? Riesumare i principi della cultura politica che hanno dato senso alla sua esistenza, e governare pancia a terra su tutti i fronti, con obiettivi precisi, impegnando e valorizzando chi può dare un contributo coerente. L’ultima cosa da fare è mettere in scena l’assedio al ministro Tremonti, magari per strappare un po’ di quattrini da dare come prebenda a qualche settore elettorale. E soprattutto ogni ministro dovrebbe rientrare nel ministero a pieno tempo, invece di passare le giornate in riunioni o a consolidare le fondazioni come se fossero scialuppe di salvataggio o di arrembaggio per la successione.
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