Le transizioni abortite riproducono altre transizioni. La lunga transizione (20 anni) ha messo in luce la sua vera debolezza: negare il conflitto dei poteri...
Le transizioni abortite riproducono altre transizioni.
La lunga transizione (20 anni) ha messo in luce la sua vera debolezza: negare il conflitto dei poteri, ignorare lo spessore materiale della dialettica sociale e restringere il proprio orizzonte con una chiusura provinciale per non vedere la caotica unificazione globale.
Si ritenne sufficiente eliminare i più fastidiosi ed inorganici pezzi del ceto politico ed esaltare il potere salvifico e liberatorio di una ipocrita evocazione del primato della morale sulla politica.
Un’ abile manipolazione delle leggi elettorali completò il quadro: la rappresentanza non fu lo specchio del paese reale perché trasformò le minoranze in maggioranza e travolse le regole di garanzia che la Costituzione aveva fissato.
Fu così che la democrazia organizzata perse solidità e forza e si ridusse ad un gioco alternativo tra due campi fluidi.
Erano fluidi perché simili nell’affermare l’interclassismo sociale ed il rifiuto della storia.
Inoltre la mistica del superamento delle ideologie lasciò alla competizione nei due campi il confronto amministrativo tra un fare “pulito” ed un fare “interessato”.
Cosa ci dice il voto amministrativo al di là della sconfitta personale di Berlusconi: ci dice che la politica torna ad essere solida perché la condizione liquida non può governare una società attraversata da mille paure.
Quale è la difficoltà che impedisce ai due campi di passare rapidamente dallo stato fluido alla densità della politica? La risposta è semplice: le due forze motrici sono sorelle gemelle nate imperfette da un parto difficile e senza assistenza clinica.
Milano e Napoli sono due risposte diverse allo stesso problema: potrà lo spontaneismo riformista o il movimentismo magrebino trasformarsi in democrazia organizzata per l’alternativa che metta a confronto visioni diverse della riorganizzazione della società e che possa reggere alle competizioni internazionale in atto per scrivere le nuove regole disciplinari dei conflitti globali?
Se la politica solidificandosi perde la condizione di liquido mette in evidenza i corpi estranei e la diversità dei materiali. Il caso Tremonti è emblematico.
Tremonti viene da studi ben basati: il diritto gli aveva dato le coordinate, l’apertura libertaria lo aveva guidato nelle scelte politiche, una sana esperienza di potere lo aveva indotto ad affinare una cultura di governo fuori dagli schemi tradizionali.
Nella democrazia organizzata del ‘900 il binomio comando ed obbedienza aveva le radici nel dominio delle ideologie.
Nella democrazia disarticolata della politica fluida il comando e l’obbedienza hanno perso il carattere nobile dell’adesione ad una visione per assumere l’aspetto volgare della fedeltà ad un capo.
Tremonti ha ritenuto che nel campo fluido del centro-destra si potesse operare meglio e si è ritagliato uno spazio con abilità ed intelligenza: ha assunto il comando con la forza di un valore individuale e ha scelto di obbedire non alla gerarchia ma ad un progetto di rigore per evitare la fuoriuscita dall’Europa.
Tremonti capisce cosa avviene nel mondo dopo l’11 settembre del 2001 e sprovincializza la gestione domestica del “fare”.
Questa scelta provoca il rispetto nel centro-destra e l’incomprensione del centro-sinistra. Il paradosso di Tremonti è tutto qui: nella politica fluida è a suo agio nel centro-destra perché è superiore al suo capoufficio, ma, nella politica forte il suo posto nel centro-destra è innaturale perché la politica di progetto è visione del cambiamento che è per sua natura politica di sinistra. Ma la sinistra di oggi non lo ama perché preferisce la politica fluida che dà spazio e forza alla irrazionalità movimentista. È l’antiberlusconismo che finisce per essere berlusconismo.
Tremonti sa che la politica del rigore ha salvato i risparmiatori ed il sistema bancario, e sa, anche, che la politica del rigore non agevola una rapida crescita.
Tremonti sa che una politica di rigore e di crescita richiede un progetto di riforma contro gli sprechi e l’evasione fiscale che sono saldamente difesi dalle corporazioni, guidate da potenti apparati burocratici.
Questi poteri dopo la fine dei partiti sono diventati i bracci operativi del notabilato politico per controllare il consenso.
Ecco il nuovo cancro che minaccia il corpo malato del sistema -paese: il potere dispotico dei boiardi degli apparati tecnoburocratici che ricevono forza dalla assenza di politica forte.
Io non so se Tremonti ha la voglia e la forza per mettere le carte in tavola: il passaggio dalla fluidità della politica alla solidità di uno scontro politico e sociale di sistema richiede una soluzione di sistema.
Queste soluzioni hanno bisogno di un alto garante istituzionale e di un largo consenso di forze anche nell’attuale Parlamento.
Alla rivolta degli elettori deve seguire una reazione dei parlamentari.
Può nascere in Parlamento il movimento art. 67 : «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»!
Nessuno lo sa. Sappiamo, però, che la crisi 90/92 nacque in Parlamento ed è in Parlamento che dovrà ricomporsi se vogliamo che la politica forte non cada nelle mani delle voraci corporazioni. Nessuna esclusa. È durato a lungo il sonno del Parlamento, oltre c’è il default istituzionale.
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