Pur avendo preso tempo grazie ad un nuovo pacchetto di aiuti finanziari, la Grecia è sempre più nei guai. Rimane da vedere se le politiche austere truccate che il governo George Papandreou ha promesso di implementare si riveleranno accettabili e sostenibili da un punto di vista politico. La storia ci ha insegnato a mantenere un certo scetticismo.
All'interno di una democrazia, quando la domanda dei mercati finanziari e dei creditori stranieri si scontra con quella dei lavoratori domestici, dei pensionati e della classe media, di solito sono i cittadini ad avere l'ultima parola.
Alla fine degli anni 90, l'Argentina si è trovata ad affrontare la stessa situazione. Dopo il 1991 la base della strategia economica dell'Argentina è stata la Legge della convertibilità che ha ancorato il peso al dollaro statunitense con un tasso di cambio pari "uno ad uno" e che ha vietato eventuali forme di restrizioni sui flussi di capitale.
Il ministro dell'Economia argentino, Domingo Cavallo, considerava la legge della convertibilità sia come uno strumento che come un motore per l'economia. La strategia funzionò bene all'inizio portando la necessaria stabilità dei prezzi, tuttavia entro la fine del decennio si ripresentò l'incubo dell'Argentina in forma ancor più acuta.
Alla fine, ciò che segnò il destino dell'Argentina non fu in realtà la mancanza di volontà politica da parte dei suoi leader, bensì la loro incapacità di imporre politiche sempre più costose ai loro elettori. Il governo argentino si dimostrò infatti disposto ad abrogare i contratti con quasi tutti gli elettori locali, funzionari pubblici, pensionati, governi provinciali e depositanti bancari, per rispettare i suoi obblighi con i creditori stranieri.
Gli investitori divennero tuttavia sempre più scettici rispetto alla capacità del congresso, delle province e dei cittadini di tollerare le politiche austere necessarie per continuare a ripagare gli interessi del debito estero. La diffusione delle proteste di massa diede loro ragione. Quando la globalizzazione si scontra con la politica nazionale, i bene informati puntano sulla squadra che gioca in casa.
Ma forse esiste un'altra via. Prendiamo in considerazione la Lettonia che si è trovata ad affrontare difficoltà simili a quelle dell'Argentina di dieci anni fa. La Lettonia è cresciuta rapidamente sin dalla sua entrata nella Ue nel 2004 grazie ai prestiti esterni e alla bolla speculativa nazionale accumulando un deficit e un debito estero delle stesse dimensioni di quello greco.
Prevedibilmente, la crisi finanziaria globale ed un'improvvisa inversione di tendenza dei flussi di capitale nel 2008 hanno lasciato l'economia lettone in una situazione disperata. Oltre al collasso dei prestiti e dei prezzi degli immobili, il tasso di disoccupazione ha subito un aumento del 20% mentre il Pil è sceso del 18% nel 2009. A gennaio 2009 si sono inoltre verificati gli scontri più accessi dal crollo dell'Unione sovietica.
La Lettonia aveva un tasso di cambio fisso e disponeva di flussi di capitale liberi proprio come l'Argentina, ma a sua differenza, i politici del paese sono riusciti a superare con coraggio il contesto difficile senza svalutare la moneta e introducendo dei controlli sui capitali. Ciò che sembra aver cambiato l'equilibrio dei costi e dei benefici della politica è stata la prospettiva di raggiungere la terra promessa rappresentata dall'opzione dell'ingresso nell'eurozona che ha forzato i policymaker lettoni a precludere qualsiasi opzione che potesse mettere a rischio il raggiungimento di tale obiettivo. Questa mossa ha dall'altra parte aumentato la credibilità delle loro azioni nonostante gli enormi costi economici e politici connessi.
La Grecia seguirà la strada dell'Argentina o della Lettonia? L'economia non è incoraggiante. Salvo una ripresa dell'economia greca, l'onere di un nuovo debito rappresenta solo un palliativo temporaneo che richiederà politiche ancor più austere nel corso del tempo. Inoltre, sino a quando la domanda interna rimarrà depressa le riforme strutturali tra cui la privatizzazione e la liberalizzazione del mercato del lavoro e dei servizi professionali non riusciranno molto probabilmente a garantire la crescita necessaria.
Proprio come dimostra l'esperienza della Gran Bretagna nel contesto tra le due guerre e, più recentemente quella dell'Argentina e della Lettonia, è la politica che determina alla fine il risultato. Affinché il piano greco abbia delle possibilità di successo, il governo Papandreou dovrà fare uno sforzo enorme per convincere i suoi elettori che le sofferenze economiche sono il prezzo da pagare per un futuro migliore e non solo un mezzo per soddisfare i creditori esterni.
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