giovedì 20 ottobre 2011

Crescita frenata da troppi monopoli, di Francesco Giavazzi


LE LOBBY E GLI INTERESSI PARTICOLARI



Finora per la crescita ha fatto di più Sergio Marchionne, annunciando l'uscita di Fiat da Confindustria, del governo, che punta su una nuova linea ad alta velocità da Lecce a Trieste. Perché non è la mancanza di infrastrutture a impedirci di crescere - almeno non in primo luogo - ma i mille interessi particolari che da decenni impediscono le riforme. E Confindustria è uno di questi.

Una Confindustria non esiste negli Stati Uniti: la National Association of Manufacturers è solo una delle molte lobby attive a Washington, mentre il Business Roundtable è un luogo prestigioso di analisi e dibattito, non di trattative centralizzate. Una Confindustria non esiste più nemmeno in Gran Bretagna, almeno non nella forma di simili associazioni dell'Europa continentale. Sembra esistere soprattutto in Paesi ad alta disoccupazione.

Un conto è la libertà di associazione, di proposta, di lobby, la promozione trasparente di interessi specifici, un altro è sedersi al tavolo con il governo per «concertare» le leggi, contrattando dei « do ut des » con la pretesa di avere il monopolio degli interessi di tutte le imprese.

Undici anni fa, nel giorno in cui Confindustria elesse suo presidente Antonio D'Amato, scrissi su queste colonne che la cosa migliore che gli industriali potevano fare per dare una scossa all'Italia era riformare la loro associazione in modo radicale. Finché Confindustria parteciperà al tavolo della concertazione, giustamente i sindacati nazionali reclameranno il diritto di sedersi anch'essi a quel tavolo. E le politiche continueranno a essere concertate non per il bene dei cittadini, ma dei gruppi di interesse che Confindustria e sindacati rappresentano. In un decennio Confindustria è cambiata, ma nel senso opposto: le cinque maggiori imprese associate oggi sono monopoli, pubblici o privati: Ferrovie, Poste, Enel, Telecom, Eni. In Confindustria comandano, ma con quale credibilità rappresentano gli interessi delle mille piccole e medie imprese che tengono in piedi questo Paese? Con quale credibilità si può parlare di liberalizzazioni e privatizzazioni, dalla distribuzione di gas ed energia elettrica, alle farmacie, alle professioni?

La vicenda dell'articolo 8 della recente manovra finanziaria è sintomatico. La proposta originale del ministro Sacconi prevedeva che imprenditori e lavoratori potessero firmare accordi aziendali senza sottostare ai vincoli imposti dai contratti nazionali. La norma approvata consente ancora la deroga ai contratti nazionali, ma richiede che l'accordo fra lavoratori e impresa sia negoziato e approvato da un sindacato nazionale. Si dice per proteggere i lavoratori delle piccole imprese. Io penso che sia piuttosto per garantire la sopravvivenza dei sindacati nazionali.

E da che parte è stata Confindustria? Da quella dei sindacati, evidentemente. Non credo perché improvvisamente abbia a cuore i lavoratori delle piccole aziende, ma perché un'associazione degli industriali si giustifica solo se vi sono dei sindacati nazionali altrettanto potenti.

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