UNA SVOLTA PER LA CRESCITA
In extremis il premier annuncia un intervento sulle pensioni. Ma le ipotesi valutate finora per far riprendere la crescita sono pannicelli tiepidi per un malato che rischia l’arresto cardiaco. I provvedimenti fiscali di mezza estate ridurranno il deficit di un ammontare pari a sei punti di prodotto interno lordo (pil) sull’arco di un triennio, intervenendo quasi esclusivamente con maggiori imposte.
L’ultima volta che ciò accadde in Italia, nell’autunno del 1992, la crescita l’anno successivo segnò meno un per cento e i consumi meno 3, nonostante in quell’occasione, diversamente da oggi, l’effetto dell’aumento delle tasse fosse in parte temperato dalla svalutazione della lira. Una forte caduta del pil nel prossimo anno, e forse nei prossimi due, non è quindi da escludere. E questo dopo un decennio in cui l’Italia è cresciuta metà del resto d’Europa. In queste condizioni, mettere in rete le ricette mediche, snellire qualche procedura burocratica, progettare qualche nuova infrastruttura sono interventi palesemente inadeguati. L’Italia ha bisogno di una scossa, non di pannicelli. Innanzitutto, smettiamola di illuderci che grandi progetti come l’Expo di Milano o qualche nuova autostrada siano la via per la crescita. Il rendimento di queste opere è ampiamente sopravvalutato. La scarsità di infrastrutture fisiche non è la priorità del Paese. E allora che fare? Le proposte, certo non nuove, su cui ancora una volta torniamo, hanno una caratteristica comune: non costano nulla, anzi alcune consentirebbero allo Stato di risparmiare.
1) Sbloccare il mercato del lavoro con una progressiva introduzione di contratti unici che eliminino al tempo stesso sia l’eccessiva precarietà sia la perfetta inamovibilità dei dipendenti di alcuni settori.
2) Sostituire la cassa integrazione con sussidi di disoccupazione temporanei, ispirandosi alla flex security dei Paesi nordici.
3) Tornare alla formulazione originale dell’articolo 8 della manovra finanziaria di agosto, quella inizialmente scritta dal ministro Sacconi e poi modificata su richiesta dei sindacati e con l’accordo di Confindustria: maggiore libertà per imprenditori e lavoratori di fare, se d’accordo, scelte a livello aziendale.
4) Permettere ai salari del settore pubblico di essere diversi da una regione all’altra a seconda del costo della vita. Al Sud il costo della vita è in media il 30 per cento inferiore rispetto a quello del Nord, ma i salari monetari dei dipendenti pubblici sono uguali. Questo permetterebbe un risparmio di spesa pubblica e faciliterebbe l’impiego nel settore privato al Sud dove oggi invece conviene lavorare per le amministrazioni pubbliche.
5) Favorire l’occupazione femminile con agevolazioni fiscali quali le aliquote rosa per le donne che lavorano. L’occupazione femminile in Italia è la più bassa d’Europa.
6) Riformare con equità le pensioni di anzianità (oltre all’aumento dell’età pensionabile annunciato da Berlusconi) e prevedere, con la dovuta gradualità, che si possa lasciare il lavoro solo quando si raggiungono i requisiti per una pensione di vecchiaia o i massimi contributivi. Lo scorso anno l’Inps ha liquidato 200 mila nuove pensioni di vecchiaia e un numero simile (175 mila) di nuove pensioni di anzianità. Ma l’importo medio di un’anzianità è di 1.677 euro, contro 602 euro di una pensione di vecchiaia.
7) Riforma della giustizia civile che accorci i suoi tempi, oggi glaciali, uno dei maggiori ostacoli, soprattutto per i giovani imprenditori. In un articolo pubblicato su questo giornale il 5 giugno abbiamo fatto proposte concrete sull’organizzazione del lavoro dei giudici per raggiungere questo obiettivo a costo zero.
8) Eliminare alcuni dei privilegi garantiti agli ordini professionali. Aprire ai privati la gestione dei servizi pubblici locali (per esempio gestione dei rifiuti). Liberalizzare i mercati, partendo da ferrovie, poste ed energia.
9) Allargare la base imponibile riducendo l’evasione per poter abbassare le aliquote: niente condoni, perché i condoni sono un invito a evadere il fisco. Vincolarsi per legge a destinare le maggiori entrate derivanti dal recupero dell’ evasione unicamente alla riduzione delle aliquote fiscali, in particolare sul lavoro, con una specifica attenzione a quello femminile.
10) Dimezzare i costi della politica, nel vero senso della parola, cioè una riduzione del cinquanta per cento. Ciò non avrebbe un effetto macroeconomico diretto ma darebbe un importante segnale politico di svolta.
Dal punto di vista del metodo bisogna abbandonare la concertazione. Non è possibile che un governo debba decidere qualunque riforma intorno a un tavolo (reale o virtuale) in cui i difensori dei privilegi che quella riforma taglierebbe possono fare proposte alternative e contrattarle con il governo. Infine rimane il problema di «quale» governo abbia il coraggio di fare tutte queste cose. Berlusconi ha una grande occasione per dare un colpo d’ala al proprio governo. Oppure serve una grande coalizione? O un governo tecnico? Non siamo politologi e non lo sappiamo, ma di una cosa siamo convinti: se non si sblocca l’impasse in cui siamo caduti, se neppure il baratro cui ci stiamo affacciando spaventa questa classe politica, allora siamo veramente nei guai. E con noi l’Europa.
Nessun commento:
Posta un commento