domenica 23 ottobre 2011

Le tre mosse per centrare la via d'uscita, di Bill Emmott

Quando, negli Anni 90, i politici del mio Paese litigavano furiosamente sul fatto che la Gran Bretagna dovesse o meno adottare l’euro, a volte mi stupiva che persone apparentemente sane potessero eccitarsi tanto per qualcosa di tanto noioso e tecnico come un sistema di valuta. Ora, vedendo ogni prossimo vertice dei governi europei annunciato come uno sforzo drammatico per salvare il mondo da un disastro finanziario causato dall’euro, mi rendo conto che sbagliavo. Dice una maledizione cinese: «Possa tu essere condannato a vivere in tempi interessanti», e non c’è dubbio, staremmo tutti meglio se l’euro tornasse a essere noioso.

Purtroppo, non vi è alcuna possibilità che questo accada nell’immediato. Il motivo, che poi è la ragione per cui sia il Consiglio europeo di oggi sia la riunione dei leader mondiali al G-20 in Francia ai primi di novembre sono drammaticamente importanti, è che i problemi veri non sono affatto quelli tecnici. Riguardano invece la politica, le forme di governo, la condotta dei politici e la loro affidabilità e credibilità.

Anche questo, tuttavia, complica il lavoro di questi incontri per trovare una soluzione, e rende ancora più difficile per gli osservatori esterni o, in realtà, per i governi stessi, valutare se le soluzioni annunciate saranno davvero efficaci. È facile descrivere il problema dell’euro in termini apparentemente tecnici. La Grecia è in bancarotta, questo significa che il suo governo non può permettersi di continuare a pagare gli interessi sui suoi debiti, ciò a sua volta significa che le banche che hanno acquistato titoli di stato greci stanno per perdere soldi, se la Grecia, alla fine, dovesse andare in default. Poiché questo default è ormai visto come inevitabile, e ne hanno anche parlato apertamente i funzionari e i politici di Bruxelles e Berlino, gli investitori hanno iniziato a preoccuparsi della solvibilità di altri governi che sono grandi debitori e anche di quella delle banche che hanno loro prestato denaro.

Quindi tutte le persone coinvolte nell’euro sanno cosa si deve fare. Le banche europee devono essere rese più forti raccogliendo nuovo capitale, in modo che possano resistere a eventuali perdite sui titoli greci. Altri Paesi fortemente indebitati - Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda – devono essere «separati», nel gergo odierno, e cioè agli investitori deve essere data la certezza che non andranno in default, anche se la Grecia si rivelerà insolvente. E poi la Grecia ha bisogno di andare in default, almeno per dimezzare i propri debiti.
Pare semplice, vero? Il problema, tuttavia, con questo programma tripartito, è la sequenza secondo cui deve essere messo in atto.

Per rendere questo esercizio di salvataggio dell’euro conveniente per i contribuenti che copriranno le perdite delle banche e offriranno prestiti soccorrevoli ai Paesi e per gli investitori privati a cui viene chiesto un maggior capitale, l’ordine giusto in cui fare tutto questo è cominciare con la «separazione». Una volta chiarito che l’Italia e gli altri non causeranno perdite del debito sovrano, la quantità di capitale necessario per rafforzare le banche sarà minore. E poi, fatta la separazione e rafforzate le banche, sarà possibile gestire con facilità un default della Grecia.

Questa però non è la sequenza in cui ci si sta approssimando a questo programma. E non è la sequenza preferita dai politici tedeschi. La sequenza effettivamente in atto comincia dalla Grecia, con un misto di punizione per i greci colpevoli di essere stati mutuatari stravaganti e di aver mentito circa la vera dimensione del loro deficit e dei loro debiti, e con un primo tentativo di condividere con i finanziatori privati le perdite causate dalla Grecia. Questo è stato l’approccio seguito dai leader europei, durante l’incontro del 21 giugno, quando su sollecitazione tedesca la ristrutturazione del debito greco è stata avviata costringendo i finanziatori privati a tagliare «volontariamente» il 20% del valore dei loro prestiti.

Ciò ha portato a speculazioni di mercato su future «volontarie» perdite su crediti per i debiti di altri Paesi e ha spaventato tutte le istituzioni finanziarie che concedono prestiti alle banche europee, motivo per cui oggi vi è la necessità di aumentare il capitale delle banche.

La sequenza di eventi era sbagliata in parte perché era condotta dalle pressioni del mercato, ma anche a causa delle pressioni politiche nel Nord Europa, specialmente in Germania. Quindi la domanda per il summit odierno è se ora la sequenza possa essere modificata, iniziando con il principio della separazione, quindi passando alla ricapitalizzazione delle banche, e concludendo con il default greco. Apparentemente dall’annuncio del vertice sembra di capire che s’intende fare così. Ma la politica rimane un grosso ostacolo.

A parole il principio della «separazione» fa sembrare le cose facili. Si prende un po’ di filo spinato e dei paletti e si recinta la Grecia. Questa è la metafora. La maggior parte dei Paesi vuole che questo sia fatto aumentando i fondi disponibili al fondo di salvataggio dell’Unione europea, noto come Fondo europeo di stabilità finanziaria, per metterlo in condizioni di prestare all’Italia, alla Spagna o al Portogallo danaro bastante a convincere i mercati finanziari che non saranno mai insolventi riguardo ai loro debiti.

Il problema politico con la «separazione» nasce a causa di una domanda fondamentale che sta dividendo i Paesi della zona euro. Si tratta di sapere se in una zona a moneta unica è necessario che i membri si assumano la responsabilità collettiva di tutti i debiti governativi emessi in euro. Quando fu lanciato l’euro nel 1998, la responsabilità collettiva fu deliberatamente respinta.

Una mossa verso la predominante proprietà collettiva dei debiti, attraverso il Fondo europeo di stabilità finanziaria, potrebbe rovesciare tale decisione qualora implicasse che il Efsf non dovrebbe solo prestare denaro in caso di emergenza, ma potrebbe doverlo fare anche in futuro. Lo stesso varrebbe se i membri della zona euro decidessero di autorizzare l’emissione di euro-obbligazioni con garanzia collettiva, come è stato proposto da Giulio Tremonti e da altri.

Cosa c’è di sbagliato nella responsabilità collettiva? Significa, ad esempio, che i contribuenti tedeschi finirebbero per condividere la responsabilità per le pensioni pubbliche italiane o spagnole. O, più importante, la responsabilità di affrontare qualsiasi futura stravaganza da parte di un qualsiasi membro della zona euro. Ciò significa che la responsabilità collettiva porta con sé un grande azzardo morale, un grande pericolo perché potrebbe incoraggiare in futuro il cattivo comportamento dei governi.

In teoria, questo pericolo può essere affrontato istituendo regole rigorose in materia di prestiti e di deficit di bilancio. Ma questo è quel che, teoricamente, è stato fatto nel 1998, e le regole non hanno funzionato. Le nuove regole potrebbero essere stabilite da un trattato piuttosto che solo con un accordo intergovernativo, ma anche questo non ne garantirebbe l’applicazione. I fan dell’integrazione europea dicono che ci deve essere anche un Tesoro europeo, che gestisca un’unione fiscale. Ma questo solleva le stesse domande.

Domande strettamente politiche. Umberto Bossi potrebbe davvero accettare che il suo amato federalismo fiscale sia sovvertito da una forma sovrannazionale di unione fiscale? Silvio Berlusconi accetterebbe di ricevere istruzioni da un Tesoro europeo sull’aumento delle tasse o i tagli alla spesa pubblica? Lo accetterebbe la Francia? Ne dubito.

La reazione politica contro le decisioni imposte collettivamente, contro il dover pagare per la stravaganza degli altri, da diversi anni si sta diffondendo attraverso i Paesi Bassi, la Germania, la Finlandia e perfino nel nuovo Stato membro della Slovacchia. È molto difficile credere che questa reazione sarà superata in tempi brevi. L’umore politico è andato nella direzione opposta rispetto all’unione fiscale, alla responsabilità collettiva e a una più profonda integrazione.

Quindi non possiamo aspettarci che questa richiesta di integrazione, di responsabilità collettiva, sia accolta al vertice di oggi, se mai potrà esserlo. L’istinto politico, soprattutto nel Nord Europa, rimane fortemente a favore di responsabilità nazionale separate riguardo ai debiti.

Al contrario, ci sarà probabilmente un altro tentativo di eludere questa domanda e di prendere tempo. I fondi a disposizione del Efsf saranno aumentati ma la Germania insisterà per regole che limitino l’uso di tali fondi. Poi si aspetterà per vedere come reagiscono i mercati. Se reagiscono con calma le banche saranno ricapitalizzate e alla Grecia sarà consentito di andare in default abbastanza velocemente.
Allo stesso tempo i politici terranno le dita incrociate. Sperando che l’Italia davvero guarderà ai mercati come se fosse separata dalla Grecia. Purtroppo, se la crescita economica s’indebolisce e la paralisi politica che circonda il governo italiano si prolunga, è improbabile che i mercati restino fiduciosi a lungo.



http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9351

Nessun commento: