lunedì 31 ottobre 2011

Quegli economisti euroscettici (proprio come Berlusconi), di Giuliano Ferrara


Paul Krugman critica l'euro tutti i gironi (ma Repubblica finge di non vedere), e non è il solo a farlo

Il premio Nobel per l'economia, il progressista e keynesiano Paul Krugman, scrive sul New York Times un giorno sì e un giorno no, ripreso con titoli camuffati da Repubblica che usa il copyright del giornalone americano, che l'euro è una ben strana moneta, e non convince, perché non risponde a un'autorità politica comune ai Paesi che la adottano, e perché non ha una vera banca centrale a sostegno come il dollaro con la Fed, la sterlina con la Banca d'Inghilterra, lo yen con la Banca centrale giapponese. Berlusconi dice esattamente la stessa cosa, testimoniata da un video. Ma non una cosa simile, esattamente la stessa cosa. Appena ha finito di parlare il premier italiano, invece di domandarsi se abbia detto una cosa giusta, sulla quale concordano il presidente della Università Bocconi e cento altri economisti di grido nel mondo, i nemici di Berlusconi si mettono a strillare: Berlusconi attacca l'euro!, vergogna!, e il presidente del Consiglio in poche ore è obbligato a una correzione di prammatica, di patriottismo monetario, sicché l'euro, com'è ovvio, ridiventa anche una bandiera dei Paesi che l'adottano. Ci mancherebbe.
Che cosa significa questo fatto di cronaca politica, che si ripete invariabilmente da anni quando parla il capo del governo italiano? Non c'è dubbio che i giornalisti italiani siano un po' asini, siamo un po' asini. La faziosità implica quella che Carlo Fruttero chiamerebbe la "risorgenza del cretino", un fenomeno pericoloso e attualissimo. Guareschi parlava di "cervello all'ammasso", come le merci inerti quando, appunto, si ammassano in un magazzino, che in questo caso non è di grano o colza ma di sciocchezze. Scegliete voi, ma di asinità in primo luogo si tratta.Però la spiegazione è anche troppo semplice. C'è qualcosa di più sottile, oltre alla "risorgenza". C'è un rapporto malato, come avrebbe detto un celebre filosofo francese che se ne intendeva, Michel Foucault, tra le parole e le cose. Se il titolo di un editoriale di Repubblica è: "L'ultimo strappo di un Cavaliere disperato", e il titolo è stampato senza alcun pudore a stigmatizzare come una stecca una dichiarazione intelligente, fatta sulla scia di un intelligentone come Krugman e del senso comune condiviso dalla maggioranza degli intelligentoni, a parte il consenso dei cittadini investitori e risparmiatori e contribuenti ( questo è ovvio), vuol dire che non siamo nel teatrino della politica, come direbbe il Cav., ma in pieno melodramma.
La stonatura, il sovracuto scemo e ispido, segnalano che si tratta però di musica di serie B, non il magnifico melodramma interpretato dal Cav. sulla scia di Donizetti e del suo «Elisir d'amore»: siamo in ascolto di cattiva musica, di una roba che dovrebbe far rimbombare le redazioni di fischi, con lancio di gatti morti e pomodori e altri ortaggi come nel "Roma" di Fellini. C'è una frase della gente che piace a me odiosa: "Mi vergogno di essere italiano". Parla proprio e inconsapevolmente di questo linguaggio, di questo oltraggio alla coerenza logica, alla semplicità di pensiero, al buonsenso elementare che anche un bambino piccolo e disinformato comincia a disegnare nelle sue parole come mappa per il suo rapporto con le cose. Non è l'Italia, non è l'italianità, è un italianismo o un italianese fradicio. Krugman aggiunge sempre nelle sue note fulminanti che il guaio è il moralismo, lo spirito autopunitivo delle classi dirigenti europee, l'incapacità di capire che la crisi da debito si cura con misure di difesa della moneta, e naturalmente con riforme di struttura, non con la lagna declinista e catastrofista.
E' precisamente la linea esposta sabato da Berlusconi nella lettera al Foglio, in cui l'austerità, vecchio arnese ideologico di un tempo in cui danzavamo intorno all'idolo della lotta di classe, è messa all'angolo e respinta come vocalizzo moraleggiante da rimpiazzare con un programma di sviluppo fondato sull'ottimismo della volontà e della ragione.Abbiamo dunque un presidente del Consiglio che ha un pensiero progressista e liberale, con una punta di paradossale spirito keynesiano, e un' opposizione di carta che, mentre i giovani del Partito democratico e il buon Renzi si sgolano per spiegargli come stiano effettivamente le cose, stecca e prende tormentosi lapsus per dire delle scemenze reazionarie, per imporre protocolli di facciata, per invocare la menzogna contro il senso di realtà. Non è un motivo in più per tenere duro?
Giuliano Ferrara

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