lunedì 24 ottobre 2011

Primi passi di Unione a più livelli, di Marta Dassù

E’ il primo summit europeo che si chiude per aprirne un secondo, mercoledì prossimo. Nei tre giorni che restano, Angela Merkel dovrà vendere a casa - alla Commissione bilancio del Bundestag - il pacchetto di salvataggio dell’euro. Al vertice di Bruxelles, l’approccio tedesco ha prevalso sui punti cruciali in agenda: l’unica Europa possibile sembra essere questa.

Un’Europa che dipende dalla politica interna della Germania: il Paese di centro, economicamente più forte ma con una leadership che ha le mani legate, quando è in ballo l’Europa, dal proprio Parlamento.

Nell’Europa tedesca che sta nascendo dalla crisi del debito, la Francia è solo in apparenza un partner «uguale». In realtà, Berlino pesa troppo e Parigi troppo poco per produrre un direttorio efficace. Gli altri hanno un ruolo minore (i nordici), sono azzoppati dal debito (i mediterranei), hanno ormai scelto di stare fuori da tutto ciò (la Gran Bretagna) o di aspettare (la Polonia). L’Europa tedesca nasce, in senso proprio, «by default»: non tanto il default parziale di un Paese periferico come la Grecia, ma l’evaporazione politica di una serie di altri attori europei tradizionali, Italia inclusa. Nel «Comitato di Francoforte» che ha preso il posto dei sei vecchi Paesi fondatori, le istituzioni comuni siedono a fianco di Merkozy, la coppia ineguale. Ma la Commissione di Bruxelles comincia a sembrare un segretariato tecnico, più che il potenziale governo dell’Unione; il Consiglio europeo riflette l'esistenza di questa gerarchia, di cui il futuro Mr. Euro non potrà che tenere conto; e la Bce resta in posizione ambigua. La Banca di Francoforte è intervenuta per tamponare la crisi del debito ma non può assumere il ruolo - come vorrebbe chi crede in un’Unione fiscale - di «prestatore di ultima istanza».

Questa fotografia (un po’ cruda, lo ammetto) dei rapporti di forza non elimina il punto sostanziale: l'Unione monetaria potrà superare la crisi attuale solo se i Paesi che la guidano oggi, la Germania anzitutto, aumenteranno il loro tasso di solidarietà (troppo basso, anche secondo le parole di un «grande vecchio» tedesco come Helmut Schmidt); e solo se i Paesi in debito aumenteranno il loro tasso di credibilità (riforme) e la loro disciplina di bilancio. Da questo punto di vista, il doppio vertice di questi giorni segna un progresso potenziale, almeno sulla carta. Perché, con le soluzioni analizzate altrove da Marco Zatterin (la ricapitalizzazione delle Banche, il potenziamento del Fondo Salva-Stati, la ristrutturazione del debito greco, gli impegni delle economie vulnerabili, fra cui l’Italia), il compromesso alla base dell’Unione monetaria - fra solidarietà e disciplina - riacquista un qualche senso. Sono decisioni che basteranno a calmare i mercati? La risposta onesta è: solo in parte e solo per un po’. Per una soluzione strutturale ci vorrebbe altro. Ci vorrebbe probabilmente un salto di qualità verso il coordinamento fiscale, di cui l’emissione congiunta di titoli europei (i famosi Eurobonds) sarebbe il primo passo. La realtà, tuttavia, è che le condizioni politiche per uno sviluppo del genere non esistono ancora; esiste anzi una notevole sfiducia reciproca, come ha dimostrato il brutto clima di Bruxelles. Per ora, incapaci di risposte strutturali in casa loro, gli europei stanno cercando rimedi fuori, fra cui nuovi crediti da parte dei Paesi ricchi di riserve finanziarie, come la Cina e gli emirati del Golfo. È una soluzione che ha dei costi politici (poco discussi) per l’Ue; ma che sono considerati inferiori, evidentemente, agli oneri economici di una soluzione propriamente europea.

C’è chi ritiene, guardando alle esitazioni tedesche degli ultimi mesi, che la Germania abbia in tasca in realtà un Piano B. Punti cioè alla creazione di un «piccolo» Euro del Nord, depurato dai debiti mediterranei. È una tesi diffusa ma non convincente: è vero che una parte dell’élite tedesca ha sempre avuto obiettivi del genere (li aveva già negli anni ‘90, prima del varo della moneta unica); ma è vero anche che i costi di una frattura dell’euro sarebbero, per la Germania stessa, molto superiori ai vantaggi. Angela Merkel ne è consapevole. Il suo progetto non è di disfare l’eurozona; è di rifarla a condizioni tedesche. Il che vuol dire, in sintesi estrema: senza troppi oneri per i propri contribuenti; e imponendo regole più rigide ai Paesi in debito, con sanzioni automatiche e nuovi poteri di intervento nelle politiche interne. L’erosione della sovranità nazionale in materia di bilancio sta diventando una delle conseguenze del debito sovrano, come l’Italia ha avuto modo di constatare ieri a Bruxelles: ciò significa che le riforme mancate, nell’Europa di oggi, hanno un prezzo politico crescente e non solo un prezzo economico.

Il Piano A della Germania è di ancorare questa Europa «alla maniera tedesca» ad una riforma ulteriore dei Trattati. La sola idea, visti i precedenti e data l’urgenza di oggi, sembra assurda. Ma rispecchia assai bene, oltre che i vincoli interni e costituzionali di Berlino, la conclusione che Angela Merkel ha tratto dalla crisi di Grecia e dintorni: regole più stringenti e molto più vincolanti sono necessarie, per evitare che l’Unione monetaria passi di crisi in crisi. D’accordo. Ma se il prezzo della cura del debito sarà un decennio di austerità, è probabile che l’Europa tedesca non si dimostri nel tempo sostenibile.

Se sopravviverà a una crisi finanziaria che è una specie di guerra moderna, l’Unione europea avrà un volto diverso. E magari il suo «Trattato di pace». In teoria, nascerà un’Europa a più livelli, con un cuore interno fondato sull’euro e su istituzioni in parte separate da quelle dell’Europa a 27. In un cerchio esterno, resteranno i Paesi membri del mercato unico ma non della moneta unica. Per i federalisti, un «nucleo duro» dell’euro può anche essere un’occasione. In una visione diversa, esiste il rischio che la creazione di un’Unione del genere - così differenziata al suo interno - finisca per danneggiare il mercato unico, ledendo così uno dei punti di forza dell’economia europea. È una discussione importante per il futuro del Vecchio Continente: peccato che dopo essere stata fra i fondatori dell’Europa del secolo scorso, l’Italia sembri più che altro un oggetto dell’Europa che si sta disegnando.



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