martedì 1 novembre 2011

Appello finale a Berlusconi: agisca subito, e non si arrenda, di Giuliano Ferrara


Un sms ti allunga la vita. Avevo appena finito di leggere questo testo di Giorgio Napolitano, serio e significativo e orgoglioso, quando mi raggiunge un sms di un vecchio amico e  collaboratore, poche parole in cui è riassunta alla grande la linea del Foglio e lo sbocco, l’unico possibile, della grande e oggi periclitante avventura di Berlusconi: “Io dico che il Cav. trionfa se fa la lettera della Bce per decreto. Lo spread e i Btp sono le ragioni dell’urgenza. Napolitano apprezzerebbe. E l’opposizione non potrebbe fare (troppo) casino. Poi va in tv e in Parlamento. Ecco il 1994 per decreto, ecco la frustata all’economia. Ho sempre voluto fare tutto ciò. Hanno fatto di tutto per impedirmelo. Ora ce lo impongono i fatti. Non austerity ma riforme”.
L’uccellino invece mi dice che Berlsuconi si sta facendo tentare dal circuito mediatico-finanziario-massonico-democristiano intorno all’idea di una patrimoniale statalista sulla casa, quanto da lui escluso per la buona ragione che sarebbe solo un sosta mortale per poi rifare debito. Sarebbe un suicidio. Ci sarà tempo di pensare a misure incisive, ma di tipo sviluppista e liberale, che possano collegare la ricchezza patrimoniale dello stato e dei cittadini a una prospettiva di crescita. Ma oggi ci sono solo le proposte di Amato, sempre negativamente influente su tutti i principi regnanti, di Capaldo e di Abete. Roba da prima Repubblica, che se assunta da Berlusconi darebbe il segno finale della resa strategica e aprirebbe al governo di emergenza per il quale stanno lavorando tutti i salmoni che risalgono la corrente per distruggere le basi di consenso popolare dell’Italia maggioritaria, che odiano al di sopra di ogni altra cosa perché è una lesione permanente agli interessi che rappresentano. Caro Berlusconi, se fa così è la fine. Non la fine del mondo, ma la sua fine, personale e politica.

Non c’è superministro demagogo
 e doppiogiochista che tenga. Non c’è Lega che tenga. Si possono fare aggiustamenti bossiani, ma in tempi strettissimi è necessario cogliere il colossale vantaggio politico costituito dalla coincidenza fra questo governo senza alternative e una politica di riforme strutturali senza alternative che ha lo stimolo e l’appoggio dell’Unione alla quale apparteniamo e che ci appartiene. Lo  dice con schiettezza e prudenza in questo discorso di Bruges il presidente della Repubblica, che è un pilastro dell’equilibrio politico e un nemico delle soluzioni abborracciate e da camarilla, avversario della sottocultura costituzionale paragolpista che punta come sempre a logiche di ribaltone comunque motivate.

Caro Berlusconi, non faccia finta di non sentire, di non capire. Non si trinceri dietro le esitazioni o peggio del suo staff. Non si giustifichi lagnosamente con la questione della maggioranza. Firmi lei il decreto, se lo faccia scrivere da persone che ci credono e che riscuotono la sua fiducia. Il testo effettivo c’è già, ed è l’insieme della lettera della Banca centrale europea e della risposta fornita di recente da lei stesso, piena di impegni scadenzati ma esposti all’equivoco. Subito dopo l’Italia sarà in grado di porre al centro del dibattito europeo la cosa decisiva sulla quale convergono ormai tutte le culture economiche, tutti gli opinionisti informati del mondo che valgono qualcosa, tutti i grand commis e gli accademici e gli uomini di stato che danno un senso alle parole che pronunciano e agli atti che compiono: la Banca centrale europea deve diventare rapidamente una banca centrale in grado di difendere la moneta come prestatore di ultima istanza. Basterà l’annuncio e la turbolenza euro-mondiale da debito che ci circonda si dissolverà. Un’Italia alla riscossa, che fa la grande svolta attesa da anni, questo discorso è in grado di proporlo con estrema autorevolezza, perfino con jattanza.

Se vuole chiudere in modo aperto
 e positivo tanti anni di dominio contrastato della scena politica italiana, scanditi dalle sue idee e dalle cospirazioni parruccone per fregarla, paralizzarla, impedirle di fare ciò che aveva promesso a questo paese; se vuole dare una frustata all’economia, mettere in scacco speculazione e panico dei mercati finanziari, rinsaldarsi e durare bene, nell’interesse del paese, fino al 2013 almeno, allora questo è quello che i fatti la chiamano a fare. Questo, e nient’altro. Glielo dice un amico, glielo dice un giornale che su queste cose lavora da anni per conoscere, e per spingere chi deve a deliberare. Glielo dice un gruppo di persone disinteressate, che credono sopra ogni altra cosa al dovere di non insabbiare nell’equivoco opaco una stagione in cui lei ha insegnato a tutti quanto sia importante sentirsi liberi di pensarla diversamente, di correre la corsa della vita pubblica e privata con i tratti dell’autonomia e del senso del rischio calcolato. Non ci deluda. Agisca, faccia il decreto, vada in Parlamento e in tv, eserciti i suoi poteri d’emergenza, o si rassegni all’inglorioso sbocco dell’incidente parlamentare e di molti altri pasticci emergenziali ai danni del mandato che ha chiesto e ricevuto per tre volte in vent’anni. La sua resa non è nell’interesse di questo paese.
Giuliano Ferrara

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