La ministra di ferro Cancellieri incontra i giornalisti e divaga con loro
E’ giorno di caffè con la stampa al Viminale, e il neoministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri si presenta con modi e toni che “ma si erano sentiti da queste parti”, dice estasiato un cronista. Il ministro incede con camminata ottimista (“sento il peso della responsabilità”, sì, “ma non voglio dirmi preoccupata, brutta parola che tradisce ansia”). Si presenta e chiede agli astanti di avvicinarsi sennò non si sente un tubo, fa un brindisi ma poi beve succo d’arancia, che siamo solo a inizio giornata, e racconta che la sera in cui ha seriamente sospettato di diventare ministro, complice l’sms di un’amica giornalista, era all’Opera, a Parma, e meno male che aveva “il vestito nero” altrimenti chissà come faceva la mattina dopo (“mi sono dovuta precipitare a Roma senza passare da casa a Milano”, ride con voce nasale, “e mica potevo entrare in un negozio e comprarne uno. Con il mio fisico capirai: stringi qui, aggiusta lì, no, no, per carità”).
Uno dei suoi due figli neanche ci credeva (“a ma’, ma che stai a ddi’?”), e però Anna Maria Cancellieri, prefetto in pensione con gran carriera alle spalle, ex commissario a Bologna e da poco commissario Parma, era già sul treno, destinazione Viminale. “Mio marito è un santo, sono fortunata”, dice parlando della “praticità” delle donne (che le farà “da guida” al Viminale). Le donne “lavorano, mettono insieme mattina e sera e curano anziani e bambini”, dice pensando a “quelle che invece non hanno nessun aiuto e devono lasciare la carriera”. Smentisce il no secco alle quote rose (“magari possono servire”), ma le boccia implicitamente: “Se uno è bravo non importa se sia maschio o femmina”. Poi si aggiusta la spilla “pesantissima” a forma di cavallo alato (è “un regalo di un’ex segretaria, lo trovo stupendo, no? Però non si può mettere con le giacche leggere sennò crollano i revers”), annuncia la prima uscita ufficiale a Palermo, venerdì, e dichiara “grande attenzione” preventiva alla lotta alla mafia.
Su immigrazione, rom, black bloc, sicurezza e sindacati di polizia in subbuglio per i tagli, il ministro procede per brevi cenni. “Devo ancora studiare le carte”, dice, “non è serio” parlare senza capire i perché e i percome. “Magari emotivamente agisco in un modo e poi scopro che avevano ragione gli altri. Meglio ascoltare con mente aperta tutti quelli che possono dare informazioni utili”, dice annunciando incontri con ex ministri, autorità locali e cittadini, “per poi fare una mia sintesi”. “Fateci lavorare”, scherza. Subito dopo non scherza più: “Devo capire bene come stanno le cose, poi agirò e ve lo comunicherò”. “Speriamo che non sia un’arma a doppio taglio, questo annunciare dopo aver fatto”, commenta un cronista. Ma il ministro dice: “Non ho alle spalle un partito, non devo illustrare un programma. Vorrei fare più che dire. Amministrare”. Qualcuno comincia ad addentare tartine, ed è puro divagare – si scopre che un cronista proviene dallo stesso paese siciliano del marito del ministro (“maddai”, dice Cancellieri, come fosse davvero in salotto). L’aveva detto, all’inizio: “Volevo un incontro informale tra colleghi, ho ventitrè anni di ufficio stampa alle spalle”.
Voleva pure una macchina italiana, come Mario Monti, ma le hanno detto “che l’unica automobile italiana a disposizione ha fatto almeno 150 mila chilometri e rischia di fermarsi”. Il ministro, racconta lei stessa, ha fama di dormigliona che a volte si abbiocca in luogo pubblico, ma “durante il dibattito per la fiducia sono rimasta sveglia”, dice. Qualcuno vorrebbe indurla a promettere una riorganizzazione degli enti locali (“materia del Parlamento”, è la risposta). Da prefetto, difende il ruolo: “Parlo per esperienza personale: nei piccoli centri il prefetto è il primo sportello dello Stato vicino ai cittadini”. Con il predecessore Roberto Maroni “i rapporti sono ottimi”, dice. All’ultima divagazione (“viva Totti” – Cancellieri è della Roma anche se “non capisce niente di calcio”), una giornalista si butta nell’elegia (“vorrei una mamma come lei”). Ed è subito effetto “tutti pazzi per il Viminale”. (Senonché il ministro è già lontano, veicolato in un’altra sala dai funzionari).
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