mercoledì 23 novembre 2011

La lezione di Michelangelo, di Ralf Van Bühren


Due anni fa, il 21 novembre 2009, l’incontro di Benedetto XVI con gli artisti nella Cappella Sistina

Dagli inizi del XX secolo, il rapporto fra la Chiesa e l’arte contemporanea, è, in molti ambiti, teso e distaccato. Nel 1975 Papa Paolo VI constatò giustamente che «la rottura tra Vangelo e cultura è senza alcun dubbio il dramma del nostro tempo». I motivi di questo problematico rapporto sono complessi e l’impressione è che procedano da entrambe le parti.

Oggi ci sono ancora molti cattolici ai quali mancano — come alla maggior parte dei loro contemporanei — una comprensione e un interesse veri verso le intenzioni estetiche di un’arte contemporanea che si presenta come di un genere radicalmente nuovo.Michelangelo, «Giudizio universale» (particolare) D’altro canto, a seguito alla progressiva secolarizzazione della società e della cultura, molti artisti d’avanguardia non hanno una formazione cristiana di base e, non di rado, neppure una disposizione personale ad affrontare il contenuto dei temi biblici e teologici.
Durante la prima metà del XX secolo la Chiesa si è sempre più confrontata con atteggiamenti di critica alla religione, e persino alla Chiesa stessa, da parte di artisti la cui vita contrastava con la professione della fede cristiana. I “negativismi”, la mancanza di senso e di orizzonti con cui tali artisti rappresentano l’uomo e il mondo, risultavano incompatibili con la visione positiva dell’uomo, pervasa di speranza, propria della Chiesa. L’arte moderna degli inizi del XX secolo costituiva una sfida estetica e spirituale, di fronte alla quale il magistero ecclesiastico da Pio XII a Giovanni XXIII reagì con prudenza.
Paolo VI, “il Papa del dialogo”, amava le arti, e soprattutto l’arte moderna. «La Chiesa ha bisogno di santi, lo sappiamo, ma essa ha anche bisogno di artisti bravi e capaci», disse nel 1967, «gli uni e gli altri, santi e artisti, sono testimoni dello spirito vivente di Cristo».
Proprio all’inizio del suo pontificato, nel 1964, invitò gli artisti a una messa nella Cappella Sistina. Nelle parole che pronunciò al termine della celebrazione liturgica insistette sull’intimo vincolo esistente fra arte e religione, e offrì agli artisti un’alleanza basata sull’amicizia.
Questa offerta avviò un cambiamento pastorale nel dialogo moderno fra l’arte e la Chiesa. In particolare, determinante fu l’invito a passare da un “accanto” tra Chiesa e arte, o addirittura da un “contro”, a un “lavorare con”.
Le parole di Paolo VI suscitarono entusiasmo in molti artisti. Alcuni artisti e mecenati inviarono al Papa, come risposta spontanea, opere d’arte che costituirono il nucleo per la formazione della Collezione d’arte religiosa moderna dei Musei Vaticani.
Inaugurata nel 1973, la collezione dimostra l’interesse della Chiesa per l’arte contemporanea “autonoma”, ossia non nata da un incarico per uno spazio sacro. Riunisce circa ottocento opere di circa 250 artisti di tutto il mondo. Documenta il modo soggettivo in cui gli autori si avvicinano autonomamente al messaggio cristiano e il loro sentimento religioso. Purtroppo la speranza espressa in diversi modi da Paolo VI di una «fioritura di una primavera nuova dell’arte religiosa postconciliare» non riuscì a realizzarsi.
Giovanni Paolo II continuò la riforma del suo predecessore. Nella sua prima enciclica, Redemptor hominis(1979), fece appello alla responsabilità che gli artisti hanno rispetto alla verità.
Per promuovere a livello della Chiesa universale il dialogo di uguaglianza fra la Chiesa e la cultura, nel 1982 fondò il Pontificio Consiglio della Cultura, sulla base della convinzione che «la sintesi fra cultura e fede non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede». Fra il 1980 e il 1986 pronunciò a Monaco, Vienna, Bruxelles e Roma altrettanti discorsi programmatici alla presenza di artisti. Vi fece riferimento al dialogo degli artisti con la Chiesa in spirito di collaborazione e di responsabilità, come pure alla natura, all’oggetto e alla missione dell’arte — specialmente dell’arte cristiana — indicando l’analogia fra arte e fede.
Nel 1999 Giovanni Paolo II pubblicò la sua Lettera agli artisti.
In essa li invita la dialogo e alla cooperazione con la Chiesa, sottolinea la stretta sintesi fra arte e fede e indica la Sacra Scrittura come fonte principale d’ispirazione per l’arte cristiana. Con quella Lettera, il Papa riassunse l’insegnamento sull’arte che aveva formulato in quei venti anni e preparò il Giubileo degli artisti del 2000, a Roma, durante il quale pronunciò un messaggio sull’analogia fra arte e santità.
Alla messa di Paolo VI nella Cappella Sistina (1964) parteciparono quasi esclusivamente artisti italiani; nel 2009 Benedetto XVI ha invece allargato il circolo degli invitati.
C’erano cattolici e cristiani di altre confessioni, seguaci di religioni non cristiane, agnostici e atei; per questo motivo il Papa si limitò al discorso e alla benedizione finale. Come sottolineato in precedenza dal presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Gianfranco Ravasi, la scelta si è basata solo sulla qualità estetica e sull’apertura agli interrogativi esistenziali.
Il carattere dell’incontro con gli artisti corrisponde alle linee maestre del pontificato di Benedetto XVI. Come annunciato nel suo primo messaggio da Papa del 20 aprile 2005, desidera dare impulso al dialogo interreligioso e interculturale; e in questo contesto si situa il rapporto con gli artisti, che deve tener «conto delle situazioni e dei cambiamenti sociali e culturali», come ha detto nel suo discorso nella cappella Sistina nel 2009.
Il punto centrale del discorso del 21 novembre 2009 è stato l’armonia fra arte e fede, fra estetica ed etica. Benedetto XVI è così tornato sugli aspetti centrali della pastorale pontificia degli artisti seguita al concilio Vaticano II.
Il cristianesimo «fin dalle sue origini, ha ben compreso il valore delle arti e ne ha utilizzato sapientemente i multiformi linguaggi per comunicare il suo immutabile messaggio di salvezza», e questo è il fondamento storico della prosecuzione dell’amicizia già auspicata.
Tutto il testo del discorso sembra un commento teologico all’affresco del Giudizio universale, dovuto al genio di Michelangelo.
Il Papa ha interpretato la sua «drammatica bellezza» come un «annuncio di speranza, invito potente ad elevare lo sguardo verso l’orizzonte ultimo». Fra bellezza e speranza esiste un vincolo profondo, ha sottolineato il Papa, e ha citato il Messaggio agli Artisti letto nel 1965 al termine e a nome del concilio Vaticano II: «Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini. Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo».
Basandosi su citazioni di grandi pensatori e artisti, il Papa ha realizzato un canto alla bellezza ispirato alla metafisica platonico-agostiniana e alla Sacra Scrittura. Come dice Platone, la bellezza produce nell’uomo una salutare scossa, lo fa uscire da se stesso, gli apre gli occhi del cuore e dello spirito, lo eleva. Il Papa ha distinto la bellezza illusoria dalla bellezza autentica che «schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé». Ha poi elogiato la via pulchritudinis, il cammino della bellezza nella natura e nell’arte, come una possibile «via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio». In tal modo riprendeva il tema del suo discorso nell’udienza di mercoledì 18 novembre 2009, ossia «l’incontro tra estetica e fede» e «l’armonia tra fede e arte».
«L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità». In questo contesto, Benedetto XVI ha citato Herman Hesse — «Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio» — e Simone Weil: «In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa». Tuttavia oggi «nel mondo moderno degli interessi», la bellezza non è «amata e custodita nemmeno dalla religione» ha detto, il Papa citando l’“estetica teologica” di Hans Urs von Balthasar.
Dinanzi a questa constatazione, Benedetto XVI ha indicato la Sacra Scrittura come fonte d’ispirazione per l’arte. Prova dell’affinità fra «il percorso di fede e l’itinerario artistico» è l’«incalcolabile numero di opere d’arte che hanno come protagonisti i personaggi, le storie, i simboli» della Bibbia. Riprendendo la Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti, Benedetto XVI si è chiesto: «L’arte ha bisogno della Chiesa?». Nel porsi questa domanda, ha invitato gli artisti a trovare «nella esperienza religiosa, nella rivelazione cristiana e nel grande codice che è la Bibbia una sorgente di rinnovata e motivata ispirazione».
Il Papa ha concluso il suo discorso con un appello alla responsabilità degli artisti. Come «custodi della bellezza», sono responsabili della sua comunicazione. In particolare nei momenti di crisi, possono infondere coraggio e speranza. «Grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Un momento dell’incontro del Papa con gli artistiSiate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella bellezza e attraverso la bellezza!».
Benedetto XVI ha poi esortato gli artisti a non aver paura di «confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti». Citando sant’Agostino, in quello che sembra quasi un commento anticipato della scena del Giudizio universale, e facendo riferimento all’affresco di Michelangelo, ha rivolto lo sguardo al destino ultimo dell’uomo: «La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente».
Nella Cappella Sistina, testimonianza di grande arte e di fede profonda, queste parole di riconciliazione sono risultate convincenti. «Lo scenario era magnifico» ha dichiarato dopo l’incontro il regista e cineasta tedesco Philip Gröning. «Era un simbolo del dialogo millenario fra l’arte e la Chiesa, e dell’origine congiunta dell’arte e della religione. È stato un grande gesto quello di invitarci tutti lì, per dire: la Chiesa ha bisogno di artisti che ricerchino il trascendente».

Nessun commento: