martedì 8 novembre 2011

Evariste GALOIS EQUAZIONI E DUELLI QUEL PICCOLO GENIO CONTINUA A STUPIRCI, di Piergiorgio Odifreddi

La notte del 29 maggio 1832 Evariste Galois, fondatore dell' algebra moderna, scrisse furiosamente il suo testamento spirituale, in cui riassunse le sue scoperte a futura memoria. Sui margini annotò tragicamente e più volte: "Non ho tempo!". La mattina una carrozza lo prelevò per portarlo in una pineta per un duello. Ferito, venne abbandonato sul campo. Lo raccolse un contadino che lo portò in ospedale, dove morì il giorno dopo. Non aveva ancora compiuto ventun anni, essendo nato esattamente due secoli fa, il 25 ottobre 1811. Il motivo del duello, così come il nome dell' avversario, non sono noti: si sa soltanto che era coinvolta una donna, rimasta anch' essa sconosciuta. Ma il tragico destino di Galois era comunque segnato, visto il suo carattere. Da studente era svogliato, arrogante e ribelle: l' unica materia che lo interessava era la matematica, per la quale aveva un talento precoce. Fallì due volte l' esame di ammissione al Politecnico, dove avrebbe forse trovato un ambiente adeguato alle sue capacità. Dalla Scuola Normale, in cui si era sempre sentito incompreso, fu espulso per aver pubblicato su un giornale una critica al preside. L' altra grande passione della sua vita fu la politica. Il padre, sindaco del suo villaggio, si suicidò nel 1829 per colpa dei gesuiti e dei conservatori. Galois giurò vendetta, e nel momento della rivoluzione del 1830 si schierò apertamente con i repubblicani, arruolandosi nella Guardia Nazionale. Deluso dall' avvento al potere di Luigi Filippo d' Orleans, fu arrestato per aver brindato al suo assassinio e passò in galera buona parte del suo ultimo anno di vita. La vita avventurosa e la tragica morte di questo genio solitario, che divise equamente le sue energie fra pensiero e azione, costituiscono una ghiotta tentazione per scrittori e registi, a cui hanno ceduto in molti. Naturalmente, la sfida consiste nel non limitarsi a trattare gli aspetti romanzeschi della sua vicenda, che oggi rimangono soltanto curiosità storiche,e nel cercare invece di penetrare le profondità del suo spirito, le cui conquiste mantengono un' importanza fondamentale. A stabilire un legame di empatia possono aiutare qualità come una giovane età e un solido background scientifico. All' inaugurazione del Festival di Matematica del 2009 Paolo Giordano le ha messe a frutto entrambe, insieme al suo talento letterario, interpretando L' ultima notte di Evariste Galois in una memorabile lezione-spettacolo. Il suo testo è purtroppo rimasto inedito, ma la registrazione audio è tuttora reperibile sul sito dell' Auditorium Parco della Musica di Roma (www. auditorium. com/eventi/4939741). Di pubblicazioni su Galois, comunque, non ne mancano. Anzitutto ci sono i suoi Scritti matematici, curati da Laura Toti Rigatelli (Bollati Boringhieri, 2000). Della stessa Rigatelli, insieme a Paolo Pagli, c' è anche il libretto Évariste Galois. Morte di un matematico (Archinto, 2007), che ripercorre la sua vita attraverso lettere e testi originali. E c' è Galois di Luca Viganò (Il Melangolo, 2005), uno spettacolo teatrale andato in scena nella stagione 2004-2005 al Teatro Stabile di Genova, pubblicato con una serie di inquadramenti matematici e storici. Ma c' è, soprattutto, il romanzo Il matematico francese di Tom Petsinis (Baldini e Castoldi, 1999), che raggiunge brillantemente lo scopo di raccontarne la vita, pure senza entrare mai nei dettagli del suo pensiero. L' autore, che è un letterato e non un matematico, si cala infatti nei panni dell' irrequieto giovane, e cerca di rendere conto del fuoco interiore che lo consumò. Galois si confessa in prima persona al suo futuro biografo, affidandogli i propri pensieri così come, nella sua ultima memoria, aveva affidato ai posteri i propri risultati. Lo vediamo dunque conversare immaginariamente con i grandi matematici del passato, in quell' ideale comunione spirituale che accomuna i sommi spiriti e li separa dal resto dell' umanità. Di Pitagora egli condivide l' idea della matematica come vera religione. Di Archimede, ammira sia i grandiosi risultati che l' eroica morte. Di Blaise Pascal, disapprova il "gran rifiuto" del pensiero in favore della superstizione. Di Pierre de Fermat, invidia il famoso margine contenente non solo l' intuizione di un misterioso teorema, ma anche un' annotazione complementare alla sua: "Non ho spazio!". I suoi veri predecessori sono però altri, a partire dagli italiani Girolamo Cardano, Niccolò Tartaglia e Paolo Ruffini: coloro, cioè, che timidamente fecero i primi passi su una strada che Galois seppe percorrere fino in fondo. Il problema che egli affrontò è così naturale e semplice che lo si può appunto raccontare in un romanzo, benché la sua soluzione rimanga ancor oggi un tour de force che richiede un intero corso di algebra. Molti sapranno citare le formule per la soluzione delle equazioni di primo e di secondo grado: formule semplici, già note a Egizi e Babilonesi. Ma pochi ricorderanno di aver visto a scuola simili formule per la soluzione delle equazioni di terzo e quarto grado: formule trovate appunto da Cardano e Tartaglia nel Cinquecento, e abbastanza complicate da aver dato luogo all' espressione "fare un terzo grado". Per quanto riguarda il quinto grado, nessuno ha certamente mai visto formule analoghe: con buone ragioni, visto che Ruffini dimostrò alla fine del Settecento che tali formule non esistono! Il romanzo accenna a come Galois rimase affascinato dall' algebra, ricercò la soluzione dell' equazione generale di quinto grado, si illuse di averla trovata, scoprì il suo errore, e infine ottenne una nuova dimostrazione dell' impossibilità della soluzione, che portò alla teoria che oggi porta il suo nome: un metodo generale che permette non soltanto di dimostrare che la soluzione non esiste per nessuna equazione generale di grado maggiore del quarto, ma anche di stabilire per quali equazioni particolari essa invece esista. L' impatto del lavoro di Galois sui suoi contemporanei fu nullo, e ci vollero decenni perché fosse letto e capito. Le sue prime memorie, presentate all' Accademia delle Scienze, furono "perse" dal losco Augustin Cauchy: il maggior matematico francese, ma anche un gran bigotto e un barone universitario. Un' altra memoria fu dichiarata "incomprensibile", e i suoi risultati vennero considerati "dubbi". Non c' è da stupirsi se Galois, con le sue idee politiche, arrivò a considerare il conservatore Cauchy "un cane", e la propria matematica un' espressione del romanticismo. Alcune delle pagine più belle del romanzo sono appunto le osservazioni sul ruolo e la natura della matematica, oltre che sulle sue somiglianze e differenze con l' arte e la politica, che Petsinis mette in bocca al giovane protagonista. Un altro merito del libro è l' aver saputo evitare stereotipi troppo plateali, mostrando come un genio non solo possa sbagliare, ma debba lavorare sodo per raggiungere i suoi risultati. Noi italiani ci culliamo infatti furbescamente nell' illusione che la creatività possa supplire alla fatica, ma Thomas Edison ci ha ammonito che genius is one percent inspiration, and ninety-nine percent perspiration, «il genio è uno per cento ispirazione, e novantanove per cento sudorazione».


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