lunedì 21 novembre 2011

Le riforme a costo zero da fare subito, di Carlo Federico Grosso

Nel giorno dell’insediamento, il nuovo ministro della Giustizia si è lasciato scappare una sola battuta: in materia di giustizia penale la questione carcere è per me questione assolutamente prioritaria. In questo modo il neo Guardasigilli ha dimostrato sensibilità ed intelligenza.

In effetti il problema carcerario è, fra i tanti, il problema dei problemi. Le carceri, con i loro 67.000 detenuti a fronte di 45.000 posti «regolamentari» disponibili (numeri esorbitanti rispetto a quelli della media europea), sono tornate ad essere terreno d’ingestibilità: celle stipate, promiscuità, impossibilità di realizzare qualsiasi programma di rieducazione, difficoltà, addirittura, di gestire il quotidiano. Spia eloquente, e terribile, del disagio è il numero (crescente) dei suicidi e dei tentati suicidi.

Encomiabile è, pertanto, avere posto, almeno a parole, il nodo carcere al primo posto nell’attenzione. Tuttavia, che fare? Soprattutto, che fare nei pochi mesi che separano dalle elezioni? Dare una risposta non sarà facile. La costruzione di nuovi istituti penitenziari non potrà che seguire le cadenze già programmate; si potranno, forse, impostare politiche di depenalizzazione e di sostituzione delle sanzioni detentive con pene alternative, ma si tratta di misure che, anche se adottate, potranno tutt’al più produrre effetti fra qualche anno. L’urgenza è, invece, attuale.

Ed allora, al di là dell’eventuale impostazione di un programma serio di riforma del sistema sanzionatorio penale, il nuovo Guardasigilli dovrà affrontare un nodo di fondo: se, per realizzare l’indispensabile, urgente, sfoltimento della popolazione carceraria non sia giocoforza fare, ancora una volta, ricorso ai vecchi ed abusati istituti dell’amnistia e dell'indulto.

Noi penalisti sappiamo che si tratta d’istituti che sarebbe opportuno utilizzare con parsimonia, in quanto la rinuncia indiscriminata alla punizione dovrebbe costituire evenienza assolutamente eccezionale. Sappiamo pure, tuttavia, che il permanere dell’attuale condizione delle nostre prigioni viola diritti fondamentali della persona e costituisce un attentato al principio di umanità del trattamento carcerario. A questo punto, nel bilanciamento fra esigenze contrapposte, non avrei comunque dubbi nel privilegiare il rispetto dei diritti. Con un auspicio, tuttavia: che l’eventuale adozione dei benefici si accompagni, finalmente, ad un’impostazione riformatrice in grado di evitare che, come è sempre accaduto nel passato, dopo qualche anno ci si ritrovi in identiche situazioni di necessità.

Al di là degli interventi urgenti sul carcere, che cosa potrà d’altronde fare un ministro della Giustizia che ha di fronte a sé, al massimo, una quindicina di mesi (e pochi denari) per gestire il ministero? Paola Severino è tecnico preparato ed ha sicuramente le idee chiare. Mi limito quindi, semplicemente, a prospettare, a me stesso ed ai lettori, un quadro possibile di piccole o medie riforme «a costo zero» o «quasi zero» realizzabili velocemente che, tutte insieme, potrebbero portare qualche giovamento all’ordinato, e più rapido, esercizio della giustizia penale quotidiana. In realtà, ne ho già parlato più volte sulle pagine di questo giornale.

Sul terreno dell’organizzazione giudiziaria, veloce realizzazione dell’informatizzazione dei processi penali, revisione delle circoscrizioni giudiziarie, misure in grado di assicurare la copertura delle sedi disagiate, concorsi in grado di tappare i buchi aperti fra il personale ausiliario.

Sul terreno del sistema processuale penale, quantomeno, l’eliminazione di tutte le storture che costituiscono, di fatto, le maggiori cause dei rinvii delle udienze o dell’annullamento dei processi (dalla semplificazione del sistema delle notifiche e da un nuova disciplina degli irreperibili alla riduzione delle nullità processuali, da una nuova disciplina degli impedimenti «legittimi» alla regolamentazione delle udienze, alla rivisitazione degli effetti dell’incompetenza territoriale).

Sul terreno del diritto penale sostanziale, come dicevo, l’impostazione di una riforma del sistema sanzionatorio ed un piano di drastica eliminazione dei reati bagatellari.

A queste opzioni, altre potrebbero essere preferite. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. L’importante è che il ministro, individuate rapidamente le sue preferenze, cominci ad operare con iniziative utili ed appropriate, compatibili con i tempi ed i denari di cui dispone.

C’è infine, comunque, un importante nodo politico che il Guardasigilli difficilmente sarà in grado di eludere. Come è noto, pendono in Parlamento riforme quali il disegno di legge sulle intercettazioni, la prescrizione breve, l’introduzione del principio secondo cui il giudice non può ridurre la lista dei testimoni richiesti dalle parti. Ciascuna di esse ha suscitato polemiche e controversie. Nessuna di esse potrà essere d’altronde affrontata a cuor leggero, sia per l’impatto che l’eventuale loro adozione potrà avere sull’efficacia delle indagini e sul diritto ad informare (disegno di legge sulle intercettazioni), ovvero sugli interessi processuali dell’ex premier e, corrispondentemente, sulla (mancata) tenuta o (eccessiva) durata della generalità dei processi penali (prescrizione breve e irriducibilità dei testimoni).

Che cosa farà il ministro, nel caso in cui vi sia richiesta di una loro trattazione da parte di taluno dei partiti che oggi sostengono il governo? Appoggerà, non appoggerà, cercherà di defilarsi dichiarando che si tratta di competenze ormai esclusive del Parlamento?

L’interrogativo non è di poco conto. Non si vorrebbe infatti che, nel gioco dei possibili veti incrociati e delle reciproche concessioni, il governo fosse costretto a contrattare taluni dei provvedimenti utili per il Paese scambiandolo con l’appoggio a misure che per la generalità dei cittadini sono dannose e utili soltanto per qualcuno. Sarebbe un brusco risveglio nel passato.



http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9462

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