Parte da Urbino un ciclo di incontri dedicati al «Gesù di Nazaret»
«Quanto lontana ci sembra la reazione negativa per la visita del Papa all’università La Sapienza di Roma!». Don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana (Lev), sta presentando il ciclo di incontri «Gesù di Nazaret all’università». Il volume — continua il salesiano — «rappresenta del resto il coronamento dello studio di un uomo che ha quasi sempre insegnato. Cosa di più naturale che presentarlo in ambienti universitari? Abbiamo fatto la proposta a quattro atenei che hanno accettato con entusiasmo e così abbiamo organizzato gli incontri nelle università di Urbino, Messina, Parma e Sassari. Appena si è sparsa la notizia, altre università ci hanno chiesto di fare altrettanto».
Il primo appuntamento sarà mercoledì 16 novembre, all’università Carlo Bo di Urbino, intitolata a un intellettuale che alla scrittura ha sempre chiesto qualcosa di più che l’intuizione estetica cercata da Benedetto Croce o dallo storicismo positivista, e ha interrogato il testo alla ricerca di risposte per la vita secondo sollecitazioni che gli venivano dall’esistenzialismo e dal cristianesimo.
Nell’aula magna dell’università presenterà il libro il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, mentre interverranno Stefano Pivato, rettore dell’ateneo, Giovanni Tani, arcivescovo di Urbino - Urbania - Sant’Angelo in Vado, Giuseppe Costa, direttore della Lev e Marco Cangiotti, preside della Facoltà di Scienze politiche.
«Oltre cinque secoli fa — scrive il rettore nel suo indirizzo di saluto — Guidubaldo i riordinava il Collegio dei dottori di Urbino. Pochi mesi più tardi Papa Giulio ii, con una bolla datata 18 febbraio 1507 (Ad sanctam beati Petri sedem divina dispositione sublimati) perfezionava il nucleo originario dell’ateneo conferendogli la facoltà di dottorare e ponendo, di fatto, il sigillo sulle origini della nostra università. Da allora, e nel corso di cinque secoli, gli scambi fra la cultura laica e quella religiosa hanno trovato un fertile terreno di incontro nelle nostre aule».
Il libro del Papa, continua il rettore dell’ateneo marchigiano, è un’occasione di «allargamento della ragione», per riecheggiare i termini dellalectio magistralis pronunciata dal Papa nel settembre 2006 a Ratisbona. «L’occasione è fornita dalla riflessione attorno a Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Sappiamo del grande successo editoriale del volume ma siamo consapevoli dell’alto valore del suo contenuto, altamente stimolante per chi, come nell’ambiente universitario, ha a cuore la crescita del sapere».
Un suggerimento di metodo particolarmente prezioso in un’epoca dominata dall’«estenuazione delle subordinate», come l’ha chiamata il cardinale Gianfranco Ravasi nell’intervento che ha concluso il convegno «Incomprensioni. Chiesa Cattolica e media», organizzato dal nostro giornale il 10 novembre scorso in Vaticano, ovvero la tendenza a ridurre ogni ragionamento articolato a slogan.
Avere a cuore la crescita del sapere significa non rassegnarsi alla sistematica sparizione del contesto, tipica della frammentarietà di una comunicazione tarata su tempi televisivi, che rende facile estrapolare un dettaglio e trasformarlo in un’arma dialetticamente contundente; un caso da manuale è stato proprio il malinteso alla base del «caso Sapienza» che ha impedito tre anni fa a Benedetto XVI di pronunciare la sua lectio magistralis nell’ateneo romano. Un discorso in cui, oltre alle grandi figure della tradizione cristiana, venivano citati pensatori come John Rawls e Jürgen Habermas.
Ma anche la cronaca, nei suoi aspetti più sconcertanti, può diventare magistra vitae: dal gennaio 2008 in poi non è più superfluo ribadire che citare un filosofo non significa automaticamente condividerne integralmente il pensiero, e che un distratto «copia-incolla» può portare a conseguenze dalla gravità imprevedibile. Come è noto, infatti, un errore contenuto nella pagina dell’enciclopedia in Rete rese evidente il fatto che i firmatari dell’appello contro la visita del Papa avevano usato Wikipedia come unica fonte, non leggendo il discorso citato su Feyerabend e Galilei; dal testo originale sarebbe risultato evidente che l’allora cardinale Ratzinger non sposava la visione «dadaista» della scienza di Feyerabend, né intendeva usarla retrospettivamente per giustificare la condanna di Galileo, ma voleva affermare che la razionalità scientifica ha dei limiti, posti in rilievo dalla critica più spregiudicata, e quindi va ricompresa in una ragionevolezza più grande di carattere filosofico e aperta alla trascendenza. E costantemente aperta al confronto con chi è su posizioni lontane — talvolta molto lontane — dalle nostre.
L’outsider Paul Karl Feyerabend, considerato un eretico e uno spirito bizzarro da tanti colleghi, fu stupito e lusingato di avere Ratzinger tra i suoi lettori (come testimonia Alessandro Tessari in un articolo uscito su «Avvenire» il 19 gennaio di tre anni fa). «Pensa che bello — amava dire ai suoi amici — che un cardinale sia così anarchico da citare proprio me».
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