giovedì 28 giugno 2012

La doppia verità di Berlino e Parigi, di Stefano Cingolani


La Germania sferza gli altri paesi sul rigore e sui tempi ma non ha ancora approvato né il Fiscal compact né il Meccanismo di stabilità

E’ sostanza o accidente? Parola o cosa?Alla vigilia del vertice che dovrebbe salvare l’euro (almeno stando alle aspettative suscitate) si ripropone l’antico dilemma di Don Ferrante di fronte alla peste. Ieri sera si è svolto un incontro preliminare tra la cancelliera Merkel e il presidente francese Hollande. Rivive, dunque, l’asse renano? Una cosa è l’immagine, tutt’altra la realtà.
“Abbiamo lavorato bene sullo sviluppo”, è la dichiarazione ufficiale. Ma Frau Angela ha ridimensionato la bozza di proposte presentata dal quartetto Van Rompuy, Barroso, Juncker, Draghi. Cominciando da quella che sembra più consistente e urgente: l’unione bancaria, sostenuta apertamente dal presidente francese. Secondo un rapporto di Nomura il fabbisogno di capitale delle banche europee è immenso già adesso, figuriamoci in caso di crisi: 100 miliardi di euro in Spagna, 60 in Gran Bretagna, 48 in Francia, 45 in Germania. L’Italia si ferma a una ventina, ma grandi istituti come Unicredit sono perennemente sotto attacco e il Monte dei Paschi viene salvato con altri due miliardi di Tremonti bond. Parigi accusa Berlino di non voler rinunciare alla potenza di fuoco delle proprie banche le quali, ancorché concausa della grande crisi del 2008 perché stracolme di mutui subprime, sono state protette e coccolate. Per non parlare delle Landesbanken e della casse di risparmio. Berlino a sua volta attacca Parigi: “Ma siete voi a non rispettare i patti di bilancio”. E non ha torto. Anche se qualche cambiamento viene registrato, si tratta di movimenti impercettibili. Hollande ha bisogno di una cifra che va tra i 7 e i 10 miliardi affinché il suo disavanzo resti entro il 4,5 per cento del pil. E il pareggio nella Costituzione? La Francia di Hollande, che doveva essere una soluzione, diventa un problema?
La Merkel ha respinto con veemenza gli Eurobond. “Mai durante la mia vita”. Ma l’Eliseo getta acqua sul fuoco: “Era una battuta in privato”. Gli esperti tedeschi, tuttavia, spiegano che mutualizzare il debito è estraneo anche allo spirito della Repubblica federale di Germania. Allo spirito forse, ma la realtà è ben più opaca. Berlino ha deciso di garantire titoli emessi dai Länder per far pagare loro tassi meno elevati. Esiste infatti anche uno spread interno tra il tasso dei Bund ormai vicino a zero e quel che le regioni pagano per colmare i loro buchi di bilancio. Il governo federale su questo è stato messo con le spalle al muro e, per ragioni di forza maggiore, ha mollato, approfittando del fatto che il Parlamento non ha ancora approvato né il Fiscal compact né il Meccanismo europeo di stabilità.
Sul dossier europeo, prima si è messo di traverso il Partito socialdemocratico che ha contrattato qualche sconto elettorale. Poi il 21 maggio è stato raggiunto un accordo, ma la maggioranza di due terzi è ancora lontana. Anche perché la Corte costituzionale di Karlsruhe ha deciso di accogliere un ricorso rigorista presentato dalla Linke, il partito di estrema sinistra. Dunque, la Merkel predica bene ma razzola male? I tedeschi, che lanciano la palla avanti e chiedono agli altri di cedere sovranità, sono i primi a non volerla cedere o comunque a fare resistenza. Per sciogliere ogni dubbio urbi et orbi, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, ha proposto di lasciare la parola direttamente agli elettori con un referendum costituzionale. La cancelliera, infuriata, tra una partita della Germania e una quadriglia romana, lo ha mandato elegantemente a quel paese.
Anche Olli Rehn, l’ex calciatore finlandese commissario economico dell’Ue, minimizza la proposta italiana di far comperare dal Fondo salva stati (oggi Efsf, domani Esm) i titoli dei paesi in difficoltà, ma “virtuosi”, insomma quelli che stanno tirando la cinghia, soprattutto Spagna e Italia. Lo scudo anti spread è solo paracetamolo? Dipende. Se il fondo emette titoli garantiti dalla Banca centrale, quindi a basso interesse, allora le cose cambiano e molto.
Si torna così al punto di partenza: che cosa può fare la Bce. Mario Draghi vuole un solenne sostegno da parte del Consiglio europeo. Pur senza trasformarsi in una Federal reserve, ha molte munizioni in canna. Ha già detto che può ricorrere a un terzo finanziamento illimitato delle banche quando si saranno davvero consumati gli effetti degli altri due (mille miliardi di euro). Per evitare che esse parcheggino il denaro liquido presso la Bce, Draghi potrebbe far ricorso, spiega Bloomberg, a tassi di interesse negativi come la Banca centrale svedese e la Bank of England, costringendo così a prestare davvero all’economia reale la moneta raccolta e trattenuta per motivi precauzionali. Una misura del genere potrebbe accompagnarsi a un taglio del tasso di riferimento portandolo dall’uno allo 0,50. Secondo l’Economist, la Bce ha poteri illimitati, ma è riluttante a usarli.

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