venerdì 8 giugno 2012

Proviamo la violenza, di Marina Valensise


La filosofa Muraro rompe il tabù e riabilita il male assoluto. Reazioni al Foglio (perplesse)


Ci voleva una femminista, paladina del pensiero della differenza, per ridisegnare una cittadinanza alla violenza nella nostra società, per riscoprire, forse addirittura, la “violenza levatrice della storia”, tesi vecchia di cent’anni e molto in auge ai tempi del sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel e di Benito Mussolini. La novità non è passata inosservata, né il percorso da cui essa nasce. La democrazia è finita, annuncia infatti Luisa Muraro nel suo pamphlet pubblicato da Nottetempo, “Dio è violent”, di cui il Foglio si è occupato due giorni fa. Il contratto sociale è “un’idea morta”, oggi nessuno crede più nella democrazia, nell’eguaglianza e nel progresso sociale, che di quel regime – la convivenza pacifica – era la promessa ideale. Prevale invece l’idea non che si possa stare meglio tutti, “ma che il meglio sia per alcuni a spese di altri”. Perciò, smettiamola di indignarci, di predicare la non violenza, di rispettare il confine astratto tra forza e violenza, perché la violenza è nelle cose e prelude al ritorno della legge del più forte. L’avvertimento di Muraro è chiaro, ma lascia perplessi gli interlocutori.


Perplesso per esempio è Fausto Bertinotti. L’ex sindacalista e rifondatore comunista ammette il punto “rilevante” in discussione, ma ritiene inutile insistere sull’incongruenza del ritorno alla destra rivoluzionaria da parte di una militante di sinistra. “Al di là della linea d’ombra, le posizioni lineari non valgono”. Meglio accettare la faglia segnalata dalla Muraro, dunque. Il fatto è che l’Europa, “dimidiata tra un potere tecnocratico e il rifiuto di questo potere, vive una crisi di civiltà le cui componenti sono la crisi economica, l’eclissi della democrazia, la morte dei protagonisti dello spazio pubblico, e le cui forme tendono a incorporare una violenza che esplode nelle famiglie, nei quartieri, nei rapporti tra le persone”. Bertinotti concorda con la diagnosi, non sa dire però se l’attuale crisi sia del capitalismo occidentale in quanto tale o del capitalismo finanziario globalizzato. Ne riconosce solo la barbarie, “tanto che la vecchia alternativa di Rosa Luxemburg, socialismo o barbarie, torna d’attualità”. Il riferimento chiave resta Marx, “che leggeva la storia attraverso la lotta di classe come scaturigine della società liberata, ma ammoniva che se la lotta di classe non avesse dato luogo a livelli superiori di civiltà avrebbe determinato la distruzione delle classi in lotta e la fine della civiltà”. Anche se nell’attuale assetto di una crisi di civiltà che distrugge la democrazia, nullifica i rapporti tra le persone e produce violenza, Bertinotti considera “un errore ritenere ineluttabile la violenza, come fa la Muraro. Meglio proporre un’aspirazione non violenta”.
Perplessa è l’antichista Silvia Ronchey. “Quella della Muraro mi sembra un’idea confusa oltreché pericolosa e per altro destituita di basi storiche, come dimostra il caso di Ipazia, la filosofa considerata una politiké per la cura della polis, che oppose alla violenza della chiesa una forma di tolleranza nonviolenta. Constatare la matrice violenta dei rapporti umani non ha mai spinto un pensatore a incoraggiare la violenza per risolverli.


Quanto al vuoto lasciato dalla parola di Dio e poi dal Progresso, non solo l’induismo ma anche il cristianesimo predicavano la non violenza”. Più che perplesso è infine il giornalista Dimitri Deliolanes, testimone di una crisi politica ed economica che sta accendendo pericolosi focolai di violenza: “D’accordo sul fallimento del contratto sociale, ma il ritorno al leninismo mi fa rabbrividire. Oggi, e la primavera araba lo dimostra, la carta vincente non è la violenza, ma la pressione umorale, il movimento di opinione che si esprime attraverso il voto, isolando i violenti. La rivoluzione giacobina e leninista, e il ricorso alla violenza, meglio lasciarle al passato”.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/13709

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