sabato 30 giugno 2012

Riforme, poche cose da fare senza indugi, di Michele Ainis

ISTITUZIONI BLOCCATE E SINDROME DI STOCCOLMA

Una paralisi cerebrale ha trasformato le due Camere in organo consultivo del governo, facendo infine assumere al potere esecutivo le sembianze del legislativo

Possiamo mantenere i conti in ordine se nelle istituzioni regna il massimo disordine? Perché è questo il balletto di cui siamo spettatori: una quadriglia in cui i cavalieri si scambiano le dame, in cui ciascuno ruba il posto all'altro. Succede, da tempo, circa i conflitti fra politica e giustizia; succede nelle relazioni fra Stato e regioni, fonte d'un contenzioso che ormai assorbe per intero la Consulta; succede, soprattutto, nel rapporto del Parlamento col governo. Il gabinetto Monti ha chiesto 28 voti di fiducia in 7 mesi, in media uno a settimana: è il record storico della Repubblica italiana, tanto da oscurare le 50 fiducie in 42 mesi ottenute dall'ultimo governo Berlusconi. Per sovrapprezzo, inonda le assemblee legislative di decreti: sono 13 quelli da convertire entro Ferragosto. E ogni volta scatta, puntuale, il maxiemendamento, accompagnato dall'ennesima fiducia. Dunque dibattito strozzato, tempi contingentati, e in conclusione prendere o lasciare. Potremmo definirlo un sequestro di persona, se il Parlamento avesse un corpo e un'anima.



Ma in questo caso è il prigioniero che si consegna volontariamente al suo sequestratore. Di più: lo invoca, lo implora, come per effetto della sindrome di Stoccolma. È accaduto, per esempio, quanto alla riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Una legge che la maggioranza aveva promesso di varare in fretta e furia, dopo gli scandali della Margherita e della Lega; impegnandosi per giunta a devolvere ai terremotati i quattrini dell'erario. Invece fin qui nessuna legge, mentre la tranche di luglio (91 milioni) sta per imbucarsi nelle capienti casse dei partiti. Sicché, per salvare la faccia, il 20 giugno la prima commissione del Senato ha approvato un ordine del giorno che reclama un decreto legge del governo, come se non ne avessimo già in circolo abbastanza. Col senno di poi, sarebbe stato meglio risparmiarsi la promessa, per evitare di venire sbugiardati. Come è successo anche ad Alfano: in tre settimane licenzieremo la nuova legge elettorale, aveva detto l'8 giugno, mentre Bersani e Casini annuivano in silenzio. Tempo scaduto, ma della legge non c'è neppure l'ombra.

È quest'impotenza, questa paralisi cerebrale, che ha trasformato le due Camere in organo consultivo del governo, facendo infine assumere al potere esecutivo le sembianze del legislativo. Eppure, a leggere la nostra vecchia Carta, il modello è di tutt'altro stampo: l'Italia è retta da una forma di governo parlamentare. Attenzione all'aggettivo, perché qui ha un valore sostantivo. Significa che è il Parlamento il motore del sistema, l'officina in cui si forgiano le riforme più essenziali. Già, ma quali? La legge sulla corruzione latita in Senato. A ridurre le province penserà il governo, ormai le Camere ci hanno rinunciato. Sulla riforma Rai è in programma una puntata a "Chi l'ha visto?". Idem per la legge sulla democrazia interna dei partiti. Senza dire dei temi etici: il testamento biologico, l'omofobia, il divorzio breve. Silenzio sulle carceri, benché siano divenute una vergogna nazionale. Silenzio sulle nuove regole per la cittadinanza agli immigrati, a dispetto dei gol di Balotelli. Silenzio su tutto, e nessun principe azzurro a svegliare la bella addormentata.

Da qui l'urgenza di metterci rimedio. Come? Con una riforma che restituisca al Parlamento la capacità di produrre decisioni. Intanto rinverdendone il prestigio, l'autorità perduta, e per questo ci vuole un'altra legge elettorale. E in secondo luogo con qualche intervento di manutenzione costituzionale, come quello pendente al Senato. Senza rivoluzioni, però: non c'è nessun bisogno di rovesciare la Costituzione come un calzino usato. E senza baratti: hanno sempre il fiato corto. Se il Pdl ha a cuore il presidenzialismo (amore legittimo, ancorché tardivo), difficilmente caverà un ragno dal buco scambiandolo con il doppio turno nei confronti del Pd, con il Senato federale nei confronti della Lega. Occorre cercare le soluzioni che uniscono, non quelle che dividono. Specialmente quando c'è da riscrivere le regole del gioco, perché allora serve l'accordo di tutti i giocatori.


http://www.corriere.it/politica/12_giugno_30/riforme-poche-cose-senza-indugi-ainis_323ef0c8-c276-11e1-a34b-90a1f1a78547.shtml

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