giovedì 14 giugno 2012

Ma quale biscotto, non siamo nemmeno in grado di battere la Croazia, di Lanfranco Pace



La solita Italia: fa un gran primo tempo, lascia agli avversari briciole, palla a terra entra in area una decine di volte, spreca malamente tre-quattro occasioni, conquista un vantaggio più che meritato. Poi di colpo si stringe “a coorte”. Cominciano i guai e arriva l’angoscia. Come se scattasse nella mente dei calciatori il mantra, l’ossessione ripetuta dai commentatori di professione da giorni, per ogni giorno, attenti a questa Croazia, scuola slava, talentuosa, imprevedibile, nel Dopoguerra non l’abbiamo mai sconfitta. Mai nessuno che dica a petto in fuori che sono poco più di quattro milioni, una città, che li faremo a fettine tutti, croati, slavi, tedeschi o chi per essi anche se poi i fatti ci smentiscono: è questa la base dell’autostima, il senso di sé. Solo se si è orgogliosi, sfrontati al limite della presunzione prima di scendere in campo, poi si può essere umili, pronti al sacrificio inumano quando si gioca. Meglio tirarsi su per i capelli che fare bagni di razionale realismo.
GRUPPO C. Italia-Croazia: 1-1. Reti: Pirlo (I) 39’ pt, Mandzukic (C) 27’ st. Arbitro: Howard Webb (Inghilterra)
Per tutto il primo tempo, è stata buona Italia, anzi ottima. Con lanci lunghi per Balotelli o triangolazioni palla a terra entra in area una decina di volte, vuole addirittura dimostrare che si può entrare in porta con la palla. Normale che si sia sbagliato al di là dell’immaginabile. Scegliamo il ghirigoro, sintomo di ansia da prestazione e non la cannonata liberatoria, da dovunque e subito. 
Cassano da posizione centrale rinuncia al controbalzo di collo piede e si inventa un assist per un compagno che non c’è. Balotelli si applica, si dà da fare, è il primo ad andare al tiro, è potente e pericoloso anche da fermo, ma è ancora incredibilmente lento. Così il più pericoloso è stato Marchisio, uno dei migliori in campo, forse il migliore, si incunea spesso, tira da fuori: ma appena ha un’occasione ghiotta in area si vede che non ha l’istinto del killer, il portiere gli ribatte tiro e rimpallo. La Croazia ci mette venti minuti per affacciarsi dalle nostre parti, e non è mai pericolosa. Così al 39’ quando Andrea Pirlo prende posizione al limite sinistro dell’area per calciare una punizione, si sente che le carote sono cotte e le pere mature: la traiettoria non si abbassa all’improvviso, non è una delle sue solite “maledette”, ha un effetto pazzesco a uscire, la palla passa tra le teste di due della barriera che sono saltati, sterza ed entra. Il ct della Croazia un affabulatore, aveva detto che il suo numero 10, il piccolo biondo tenero Modric che gioca nel Tottenham, è più forte di Pirlo: non c’è proprio confronto possibile.
Nella ripresa però la musica cambia di colpo. Ci presentiamo in campo con il braccino corto, si sente che non riusciremo a chiuderla. I croati, portati dal pubblico – abbiamo praticamente giocato in trasferta – si gettano avanti con furia. E su un cross da destra assolutamente prevedibile, la difesa azzurra buca e non perché siano disposti a tre ma perché sono sulle gambe e tremebondi: il centravanti croato ha il tempo di stoppare, controllare e sparare in porta: lo fa con rabbia, come a dire beccati questo, un affronto insomma. Con questo secondo pareggio, due punti, due gol fatti e due subiti, il destino, il passaggio o meno del turno, non dipende più da noi. Ed ecco i soliti soloni che mettono in forno il solito biscotto e dicono che si metteranno d’accordo per farci fuori. Ma se non siamo in grado di piallare la modesta Croazia, c’è pure bisogno di combine?

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