giovedì 28 giugno 2012

Perché la Merkel non si può permettere di fare la moralista, di Charles Wyplosz


Nel 2010 fu Berlino a violare la clausola “no bailout” per salvare Atene (e le banche tedesche). Ora cambi

La cancelliera Angela Merkel ha fatto sapere che la Germania non può salvare l’euro. Ha ragione. Fin dall’inizio della crisi dell’Eurozona, con l’evidente effetto domino che ne è conseguito, è stato chiaro che il governo tedesco, con il suo forte debito, non avrebbe potuto essere considerato l’ultimo salvatore. Ma mantenere l’euro sarà un’operazione costosa e la Germania dovrà condividerne il peso. La soluzione dovrà combinare una nuova strutturazione del debito e una trasformazione della Banca centrale europea (Bce) trasformata in prestatore di ultima istanza di banche e governi. Ora Angela Merkel deve levare il veto tedesco. Tutti i leader dell’Eurozona, inclusa la Merkel, sono responsabili della spiacevole situazione che si è venuta oggi a creare.
• L’espediente politico del maggio 2010 – ovvero il salvataggio della Grecia con la promessa che sarebbe stato “unico ed eccezionale” – è stato ufficialmente venduto come una necessità per evitare il contagio.
• A due anni di distanza, è evidente che si è trattato di un errore politico storico, seppure prevedibile.
La crisi ha inghiottito tre piccole nazioni – Grecia, Irlanda e Portogallo – e ora sta per raggiungere Spagna e Italia. La Francia potrebbe essere la prossima vittima. Il debito pubblico di questi sei paesi ammonta al 200 per cento del pil tedesco. Con il suo proprio debito che è pari all’80 per cento del pil, la Germania non può davvero arrestare lo sfacelo.
Il dibattito pubblico in Germania e altrove è spesso moralistico, accordandosi con i timori degli economisti per il cosiddetto “azzardo morale”.
• I paesi che hanno considerato a lungo il bilancio del governo come un limite puramente teorico ora non possono semplicemente chiedere aiuto.
• Lo stesso discorso vale per le nazioni che hanno permesso alle proprie banche di alimentare una bolla dei prezzi immobiliari e ora socializzano le perdite private che ne risultano.
E’ assodato: le cattive politiche devono avere conseguenze. In questo i moralisti hanno ragione. Ma la questione è più complicata di quel che sembra. Bisogna chiedersi: quali paesi hanno calpestato la disciplina fiscale dell’Eurozona? Quali dovrebbero essere le conseguenze? Quali sono i costi per l’unione monetaria nel suo complesso? Poco prima della crisi finanziaria del 2007-08, pochi paesi dell’Eurozona potevano asserire di essere stati fiscalmente disciplinati. Il grafico qui sotto mostra che potevano affermarlo la Finlandia, la Spagna e l’Irlanda, ma non la Grecia e l’Italia. Gran parte delle nazioni dell’Eurozona – Germania inclusa – si trovavano nella zona grigia. Poi la ruota del destino che guida le crisi che si autoalimentano ha cominciato a girare, lasciandoci con l’impressione che i forti giudizi morali debbano invece essere molto relativizzati.


Lassismo della supervisione bancaria
Com’è risaputo, è stata la scarsa supervisione bancaria a condurre l’Irlanda e la Spagna tra i paesi colpevoli. Ancora una volta, la storia non è finita e presto molte nazioni potranno essere accusate di acquiescenza. In cima alla lista troviamo la Francia e la Germania. Se la Grecia non fosse stata soccorsa, alcune grandi banche francesi e tedesche, già indebolite dalla crisi dei mutui subprime, sarebbero state destinatarie di un costoso salvataggio.
Lo schema di riduzione del debito applicato per la Grecia ha fornito a tali banche un’efficace strategia di uscita ed è stato prorogato a sufficienza affinché potessero disporre di un’ampia parte delle loro partecipazioni iniziali nel debito pubblico greco.

Le lezioni dei casi estremi: Lettonia e Grecia

(…) In termini di conseguenze, la questione si rivela incredibilmente complicata. L’austerity è stata la norma accettata come punizione. I fautori dell’austerity hanno inizialmente cercato di qualificarla come una misura solo moderatamente spiacevole, un “dolore positivo” che sarebbe servito da utile lezione per le generazioni future. Tuttavia, i fatti hanno completamente intaccato tale prospettiva. Il mito delle contrazioni fiscali espansive, note anche come moltiplicatori negativi, si è rivelato un errore disastroso. E i suoi ultimi assertori indicano la Lettonia a dimostrazione del suo funzionamento, ma l’origine di tale valutazione non è chiara. Il debito pubblico lettone è ancora in aumento come percentuale del pil, che ora è inferiore del 15 per cento rispetto ai valori del 2007, prima del piano di stabilizzazione. Certo, nel 2010 la perdita era del 20 per cento, ma questo conferma semplicemente quanto siano positivi i moltiplicatori. La Lettonia ha dovuto inoltre sostenere costi pesantissimi. La disoccupazione è balzata al 20 per cento, e si mantiene tuttora al 16 per cento, mentre l’emigrazione – a quanto pare – è massiccia. (…)
Quella greca è un’esperienza di declino economico senza fine, disoccupazione massiccia e grande disagio sociale. Certo, ai greci viene insegnata una lezione, ma quale? L’opposizione alle riforme economiche è forte ora come lo era prima della crisi, ma la xenofobia e il richiamo dei politici populisti stanno aumentando in misura spettacolare. Il dibattito sui moltiplicatori tende a nascondere le conseguenze politiche dell’austerità nel mezzo di una recessione. In quanto economisti, dobbiamo anche ampliare i nostri confini di osservazione. Se si tiene conto di tali aspetti, le conseguenze della strategia adottata nel 2010 semplicemente non sono giustificabili, anche su un piano morale. Soprattutto perché i soggetti più colpiti dalla punizione non sono quelli che hanno tratto i maggiori benefici dall’indisciplina fiscale precedente alla crisi dell’Eurozona.

Tempo di bilanci (disastrosi)
La strategia adottata nel maggio 2010 dai leader dell’Eurozona non solo ha mancato gli obiettivi che si era prefissata, ossia il ripristino della sostenibilità del debito, la prevenzione del contagio e la riduzione dell’azzardo morale, ma non ha nemmeno prodotto una soluzione in grado di porre fine alla crisi. Serve quindi una svolta di 180 gradi rispetto a quanto deciso più di due anni fa. Sfortunatamente, si tratterà di una misura costosa.
• Diversi paesi non saranno mai in grado di raggiungere una crescita sostenibile sotto il peso dell’attuale debito pubblico.
• Alcuni esempi: la Grecia, il Portogallo e l’Italia.
• La lista potrebbe anche allungarsi e includere l’Irlanda, la Spagna e la Francia.
I governi di questi paesi dovranno ristrutturare il proprio debito, completamente nel caso della Grecia o parzialmente – se l’intervento sarà sufficientemente tempestivo – negli altri casi.
• Quando le banche di questi paesi falliranno (per non avere adeguatamente diversificato il loro portafoglio), anche il loro salvataggio dovrà essere finanziato dall’esterno.
Chi pagherà?
• Le banche straniere, naturalmente, finiranno per ridurre il debito sovrano ristrutturato; a loro volta, potrebbero dover essere salvate dai rispettivi governi.
• Anche i creditori ufficiali subiranno perdite. (…)
Con l’attesa cresce il costo dei salvataggi
Più si aspetterà a intervenire, più il deterioramento economico sarà profondo – maggiori prestiti ai governi e più crediti non performanti nelle banche – e pesanti i costi finali. Un aspetto importante è che l’elenco dei “salvatori” si riduce, mentre si allarga il numero dei “salvati”. Ciò fa sì che gli oneri si concentrino su un numero decrescente di nazioni benestanti. Attendere troppo a lungo implica la possibilità che vengano a mancare nazioni benestanti o l’Eurozona. Probabilmente entrambi.
Perché la Germania e altri contribuenti, prevalentemente dell’area settentrionale, dovrebbero pagare per altri, soprattutto appartenenti alla zona meridionale? Perché i loro governi sono responsabili della disastrosa situazione in cui versiamo.
• L’ottimo trattato di Maastricht prevedeva una clausola di non salvataggio (no bailout) volta a proteggere tutti i contribuenti dell’Eurozona dall’indisciplina fiscale di altri paesi.
• Tale clausola è stata violata una prima volta nel maggio 2010, sotto la leadership di Angela Merkel, quindi di nuovo per soccorrere l’Irlanda, il Portogallo e ora la Spagna.
Si è trattato di un “crimine” in termini di politica economica. A quel tempo sembrava una scelta conveniente, almeno presumendo che non ci sarebbe stato contagio.
Un principio morale di base prevede che i criminali siano considerati responsabili delle conseguenze delle proprie azioni, anche se mancano di intenzionalità. I contribuenti dell’Eurozona sono le vittime dei leader che hanno eletto. Ora devono scegliere tra lo scioglimento dell’Eurozona e il pagamento. Pagare rimane ancora l’alternativa più economica, ma non per molto.

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